Rileggere, ritradurre Makarenko

Rileggere, ritradurre Makarenko “scrittore di infanzie”

[…] Soltanto in questi giorni ho finito la terza parte [del Poema pedagogico] e l’ho inviata a Gor’kij37. Sto ancora lavorando alla ribattitura per l’edizione del singolo volume. Se sia ben riuscito… lo sa il diavolo !? Mi vengono fatti elogi, ma la mia impressione è certamente diversa. Vi sono brani che fanno pietà; e poi il problema del finale, che tu ben conosci, non mi pare proprio felicemente risolto […].

Ancora non so come andrà a finire con la terza parte: vi sono molte puntatine maligne sia contro il Commissariato del popolo per l’istruzione, sia contro la sezione fiscale, che viene da me soprannominata Kaščej l’Immortale38. Ad ogni modo, ho deposto il fardello del Poema. Ora sento un certo vuoto, e non so proprio cosa scriverò in avvenire.

Galja39 insiste perché io scriva un «Libro sui ragazzi», dove, a sua opinione, bisognerebbe inserire tutta la mia filosofia pedagogica, però in forma senz’altro artistica e accompagnando il tutto con paragoni, massime, digressioni liriche, ecc. Io non ho ancora valutato con attenzione questa proposta e non so nemmeno immaginare cosa potrebbe venirne fuori. Forse è una buona cosa, eppure vorrei cimentarmi nell’invenzione artistica. Sono sicuro che come scrittore di fantasia troverei per me uno spazio da me stesso insospettato. Non puoi immaginare quanto mi abbia impacciato questa stessa «verità artistica»: i migliori passi del Poema, però, sono proprio quelli inventati di sana pianta […]40.

Così Anton Semënovič Makarenko, in una lettera da Kiev del 3 ottobre 1935 all’amico Konstantin Semënovič Kononenko41, ormai alla vigilia della pubblicazione della prima edizione del Poema pedagogico in volume unico (1937). Una lettera importante, densa di spunti di ricerca, emotivamente intensa, non priva di inquietudini e perfino un tantino contraddittoria; ma che, sia pure per accenni, la dice lunga attorno a una vasta gamma di temi e problemi dell’officina letteraria e della bottega pedagogica “Makarenko”: e l’una e l’altra, attivissimi laboratori della “poematicità” del racconto di formazione e, al tempo stesso, della formazione del racconto, nel segno dell’antiletteratura e dell’antipedagogia42.

Eppure gli undici anni che, dal 1925 al 1935, c’erano voluti per mettere a punto materialmente e a produrre letterariamente l’opera, parlano chiaro dell’enorme impegno del Makarenko narratore e del duplice suo senso di responsabilità: responsabilità, cioè, tanto nell’esercizio della propria ardua funzione di educatore di “uomini nuovi”, quanto nel farsi progressivo del suo stesso faticoso mestiere di scrittore. Le due facce intrinseche, diresti, di un’identica moneta “in corso”, che sarebbe impossibile far valere l’una separatamente dall’altra: facce indivisibili invece, come gli inscindibili volti di un “Giano bifronte”, nel rischioso procedere della medesima, ipercomplessa esperienza pedagogica e conforme rappresentazione letteraria.

Ed è ciò che in Italia, quasi sessant’anni fa, ebbe modo significativamente di rilevare Lucio Lombardo Radice, nell’Introduzione alla prima traduzione italiana del Poema:

Il Poema pedagogico è uno di quei rari libri che sembrano scritti di getto, in un unico, ininterrotto periodo di ispirazione. In realtà invece il libro richiese all’autore un lunghissimo periodo di preparazione, di raccolta paziente di materiali. Nel 1925 nella mente di Makarenko si delineò la prima parte del libro. Ma egli non volle passare subito alla sua stesura. La critica di Gorki al suo primo tentativo letterario, il suo forte spirito autocritico, il suo acuto senso della società e della responsabilità nel lavoro letterario, portarono Makarenko a un grande lavoro preparatorio. Da una parte, raccolta di materiali: quaderni e libretti di appunti, nei quali Anton Siemionovic [sic] annotava gli episodi salienti, trascriveva le battute più significative dei dialoghi. Dall’altra, una serie di schizzi preparatori, simili a quelli del pittore che prepara un grande affresco, e una costante esercitazione letteraria e stilistica43.

Temi e problemi di ricerca – dicevo – sul modo di Makarenko di essere nello stesso tempo e col medesimo impegno, creativamente, educatore e scrittore, tra finzione e verità44. Situazioni euristiche che, in forme e con esiti diversi, hanno avuto per ciò stesso un impatto squisitamente letterario e didattico, sia per milioni di lettori nell’Unione Sovietica e fuori, nel corso degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta del Novecento; sia successivamente, in altre situazioni formative: quando per esempio – ed è proprio ciò che è accaduto dal 1992 ad oggi nell’Università “La Sapienza” di Roma – si è inteso affrontare sistematicamente il nodo della pedagogia e dell’antipedagogia (della letteratura e dell’antiletteratura) makarenkiane, che fanno del Poema pedagogico un inconsumabile classico sia dell’educazione individuale e sociale, sia del racconto di formazione paradigmaticamente “altro”45.

Un’opera che, probabilmente, trova solo nell’Emilio di Jean Jacques Rousseau il suo epocale pendant “dialettico”: anche e non solo nel senso di una pedagogia, makarenkianamente intesa come «la più dialettica di tutte le scienze»46. Ma che, per l’appunto come tale, ha finito col porsi quasi naturalmente al centro delle organiche dimensioni didattiche e di ricerca di tutto un insegnamento universitario: a lezione, nei colloqui individualizzati e negli incontri collettivi tra il professore e gli studenti, nella preparazione e nella definizione degli esami, negli elaborati scritti e nelle tesi di laurea, in sede di dottorato di ricerca e altrimenti; e a partire, nelle varie situazioni di apprendimento, dalla lettura e rilettura del Poema, come base di successivi approfondimenti su Makarenko e la sua opera47.

Lettura e rilettura del Poema pedagogico, quindi, che per noi pedagogisti romani è avvenuta e continua ad avvenire nella misura del possibile ad alta voce, docente e studenti insieme, sulle pagine delle traduzioni esistenti, ma revisionando e integrando le dette traduzioni con ulteriori esperienze traduttive del testo russo della Pedagogičeskaja poema. Un libro, pertanto, riprodotto centinaia di volte in fotocopia ovvero con la tecnologia del print on demand per le nostre esigenze didattiche, giacché da molti anni fuori commercio e reperibile spesso con difficoltà in biblioteca; e, quasi esclusivamente, letto nella sua traduzione più invecchiata del ‘5248.

Di qui il passaggio didatticamente obbligato, nei primi anni del nostro impatto con il testo makarenkiano, di un confronto della su menzionata traduzione di Larghezza con la successiva, di gran lunga preferibile, traduzione di Saverio Reggio49. Una traduzione, quest’ultima, da noi quasi sempre condivisa e recepita positivamente – ed è ciò di cui è prova evidente anche questa nuova edizione –, a mo’ di “punto fermo” da cui prendere le mosse, per una sorta di mobilitazione critico-linguistica e pedagogico-didattica ulteriore, fatta per così dire metodologicamente di “puntini sospensivi”, “punti esclamativi”, “due punti” e soprattutto… “punti interrogativi”50.

Non a caso del resto, tutto è iniziato per noi, didatticamente, proprio con la ricezione e con la correzione materiale del testo51 delle cinquecentosessanta pagine «arcobalenanti» e «iridescenti» (come ci esprimevamo, con riferimento al termine russo raduga delle Edizioni Raduga, che vuol dire appunto «arcobaleno» e «iride»). Ed è proseguito con osservazioni e confronti sulla punteggiatura adoperata nell’originale da Makarenko e consapevolmente stravolta dai traduttori italiani, per non stravolgere il russo.

A mano a mano che l’interesse per i problemi di traduzione veniva crescendo52, ci è quindi venuto spontaneo rivolgere l’attenzione ai significanti e ai significati dei termini; e, dunque, alle proposizioni, ai periodi, ai capoversi, ai capitoli, nel farsi del trasferimento del Poema pedagogico dal russo-ucraino all’italiano… Ed è ciò che è accaduto anzitutto con la parola pedagog, che il Makarenko scrittore adopera per il Makarenko personaggio: un termine da noi tradotto sempre con educatore (non insegnante o pedagogo), tranne che nei casi di una voluta sottolineatura tecnica, oppure ironica o autoironica.

Abbiamo così incominciato a tradurre in proprio, talvolta divergendo da Reggio ma il più delle volte confermandone le soluzioni: sui besprizorniki ovvero besprizornye (letteralmente «senza tutela», «quindi colonisti»53, «ragazzi abbandonati», ecc.), sui «moralmente deficienti» («moral’no defektivnyj)», sulle «operazioni di carattere interno» («operacii vnytrennego charaktera»); e, via via, sulla traduzione a nostro avviso variamente più idonea nei diversi contesti, di «rebënok», «mal’čik», «paren’», «devuška», «rebjata», «chroncy», «molodoj čelovek», «syn», «podrostok», ecc. (bambino, ragazzino, ragazzo, ragazza, ragazzi, giovanotto, figlio, adolescente, ecc.)…. Aspetti lessicali, questi, che andavano ben al di là della lettera del testo; e che sono risultati essere, invece, all’origine della complessiva nostra approssimazione didattica e scientifica al Poema pedagogico, come romanzo d’infanzia54.

Vocabolario russo a portata di mano55 e consulenze ucraine a nostra disposizione, abbiamo pertanto continuato a lavorare con crescente interesse e sistematicità, su questo o quell’altro problema lessicale, linguistico, espressivo… 56. E siamo divenuti sempre più consapevoli del fatto che, così procedendo, di ritraduzione in ritraduzione, noi non facevamo altro che prendere a nostro modo sul serio il franco e incoraggiante invito delle stesse Edizioni Raduga «Ai nostri lettori», a metterci in gioco come revisori, traduttori, correttori, interpreti della grande opera che avevamo di fronte:

Le Edizioni Raduga saranno molto

riconoscenti a quanti vorranno comunicare

la loro opinione sul contenuto, la traduzione

e la presentazione di questo libro57.