Traduzione, romanzo di formazione, educazione e autoeducazione

Deriva pertanto da qui la relazione di riconoscibile vitalità formativa che, nei molti anni di letture makarenkiane, s’è venuta a stabilire tra la poetica del “poematico” e la “poematicità” della poetica (se così si può dire), indotta dal Makarenko “autore” ed “eroe”, “scrittore” e “riscrittore”, “educatore e rieducatore”, “pedagogo” e “antipedagogo”, tante volte in scena come “attore agito” e “attore agente” del Poema pedagogico, e l’attività didattica della Cattedra pedagogica romana con le sue molte generazioni di studenti e collaboratori, dal 1992 al 2009. La relazione cioè, tecnicamente riconoscibile e pedagogicamente incisiva, tra le moltissime occasioni di insegnamento-apprendimento “individualizzato” a partire dal Poema pedagogico e dalle molteplici possibilità di una “traduzione” dell’esperienza makarenkiana nel vissuto didattico di ciascuno di noi (professore e studenti); la relazione, infine, tra le innumerevoli recensioni, delle quali resta larga traccia in un mastodontico dossier di proposte lessicali e interpretative a moltissime voci: voci espressesi nel tempo e che sono ora oggetto di uno studio a parte87, e la presente riproposta editoriale del Poema pedagogico.

La quale è, insomma, un atto, molti atti interlocutori, dialogici, didattici e autodidattici, di corso universitario in corso universitario, di generazione in generazione di studenti… Ecco perché, in queste pagine, ho voluto incominciare a documentare non solo i risultati positivi, ma anche e soprattutto i limiti evidenti di un processo di traduzione (formazione); così come, nei paralleli svolgimenti didattici (corsi monografici di lezioni, elaborati di esami, tesine e tesi di laurea, ecc.), avrei inteso non cancellare, ma piuttosto esaltare la problematicità dei momenti della costruzione e della crescita delle competenze universitarie individuali e collettive; e, al tempo stesso, dichiarare per esplicito le linee di uno sviluppo formativo non avvenuto ma in corso: e questo, proprio perché all’incremento della traduzione del testo makarenkiano (il Poema pedagogico come work in progress), è sembrato variamente corrispondere un altrettale incremento di valori universitari e umani.

Crescita del testo, contestuale concrescita della traduzione e sviluppi complessivi delle personalità: e l’una e l’altra e gli altri ancora, cioè, tendenzialmente a capo di procedure scientifiche e didattiche tali da rendere individualmente e cooperativamente non solo possibile ma anche necessaria la acquisizione di competenze critiche, di abiti morali e di professionalità pedagogiche e scientifico-educative via via adeguate al compito universitario prefigurato come realizzabile, sia nell’immediato sia in prospettiva. D’onde l’invito, che vorrei rivolgere al lettore della presente Introduzione, anche e soprattutto in relazione a questa stessa edizione del Poema pedagogico, ad intervenirvi recensivamente.

Risolutivo a tale scopo, tuttavia, potrà e dovrà essere il controllo sistematico dei manoscritti e dei dattiloscritti relativi alle varie stesure del Poema, conservati a Mosca; e la rinnovata messa a punto delle loro stratificazioni e articolazioni testuali nel corso del tempo (dal 1925 al 1937, dal 1937 ad oggi). Quali i tagli, quali le aggregazioni, quali le aggiunte di pagine e appunti ? quali le eventuali “ragioni” di Makarenko, quali i “motivi” di quanti, studiosi ed editori, sono intervenuti nelle Carte-Makarenko, a più riprese, nel corso del tempo ?

In un certo senso, nella sua intrinseca inquietudine filologica e formativa, il testo del Poema si fa esso stesso prospettiva intertestuale e motivo ulteriore di traduzione. E mentre sembra quasi possibile cogliere una sorta di “astuzia pedagogica” dell’antipedagogismo di Makarenko, che poematicamente “vuol” intervenire nel testo e agire oltre il testo (diresti quasi per “cause seconde”), mi piace pensare che la pre-definita povertà della scrittura letteraria makarenkiana non è che “l’altra faccia” della attuale ricchezza didattica delle esperienze di lettura di traduzione e di scrittura, che in definitiva dal Poema possono infinitamente derivare.

Se il Poema pedagogico, romanzo di formazione in progress – come acutamente ha sostenuto a suo tempo Gyorgy Lukács88–, è tra l’altro il racconto dell’«accumulazione originaria» della pedagogia socialista (realizzatasi pionieristicamente in quel luogo e in quel tempo della storia), anche la sua traduzione (qualunque sua traduzione), non solo non può non risentirne, ma è essa stessa parte viva e operante del suddetto processo di accumulazione originaria. Tra la “pedagogia bambina” dell’educatore Makarenko e la “letteratura bambina” dello scrittore Makarenko, non c’è sostanziale soluzione di continuità: e l’una finisce col dimensionarsi sperimentalmente sull’altra; e viceversa, con tutte le conseguenze “comunicative” del caso, sul terreno della interdisciplinarità e della multimedialità.

L’una e l’altra (la pedagogia e la letteratura makarenkiane) mai costruite a priori, ma solo in via di ipotesi “costruibili” e “in corso d’opera” al prezzo di una esperienza flessibile e disciplinata, per prove ed errori, nel “gioco” dei rapporti tra l’educatore Makarenko, teorico della tecnica pedagogica che non c’è e (diciamo pure) l’educando Makarenko, tecnico della teoria pedagogica che manca; tra il Makarenko, storico di se stesso e il personaggio d’invenzione Makarenko, nella molteplicità dei suoi virtuali profili dialogici… Un punto di vista, quest’ultimo, che invita a rileggere, proprio in funzione della stessa comprensione del Poema pedagogico e dell’operazione tentata dal suo “autore” ed “eroe”, certe pagine (anch’esse tutt’altro che deinite) di Michail Michajlovič Bachtin: e, innanzitutto, il celebre frammento sul Romanzo di educazione e il suo significato nella storia del realismo89.

Perché, in effetti, è da qui che occorre senz’altro prendere le mosse per comprendere tanto l’ibridazione letterario-pedagogica (antiletteraria e antipedagogica), tentata da Makarenko con il Poema; quanto le ragioni e gli esiti, per così dire “in differita”, di tale operazione dal 1992 in avanti, nella chiave didattica illustrata. Scrive difatti Bachtin, quasi a voler orientare in absentia la lettura di un romanzo di formazione, per l’appunto del tipo del Poema pedagogico:

Ma in romanzi come Gargantua e Pantagruele, Simplicissimus e Wilhelm Meister il divenire dell’uomo ha un altro carattere. Non si tratta più di un suo affare privato. L’uomo diviene insieme col mondo, riflette in sé il divenire storico dello stesso mondo. Egli non è più all’interno di un’epoca, ma al confine di due epoche, nel punto di passaggio dall’una all’altra. Questo passaggio si compie nell’uomo e per il suo tra- mite. Egli è costretto a diventare un nuovo, mai visto tipo d’uomo. Si tratta appunto del divenire di un uomo nuovo; la forza organizzatrice del futuro qui è quindi estremamente grande, e, naturalmente, si tratta di un futuro storico, non biografico-privato. A mutare sono appunto i capisaldi del mondo, e l’uomo deve mutare con essi. È comprensibile che in questo romanzo di divenire si levino in tutta la loro statura i problemi della realtà e della possibilità dell’uomo, della libertà e della necessità e il problema dell’iniziativa creativa. L’immagine dell’uomo in divenire comincia a superare qui il suo carattere privato (s’intende, entro certi limiti) ed entra nella sfera spaziosa, totalmente diversa, della realtà storica. È questo l’ultimo tipo, quello realistico, del romanzo di divenire90.

Temi e problemi indubbiamente costitutivi della materia specifica del Poema pedagogico: sia nell’ottica dell’immediatezza del profilo biografico-intellettuale dell’autore, sia in rapporto alla funzione letteraria dell’opera. La quale finisce quindi con l’imporsi, ben al di là della dichiarata scontentezza di Makarenko del risultato artistico finalmente raggiunto, come “anti-stasi” e “scoppio” di “novità”, come “consolidarsi di una tradizione” e “formazione di uno stile”, come “riqualificazione dell’esperienza” e “gioia del futuro”, come accordo, in ultima analisi, della peculiare filosofia makarenkiana con gli obiettivi politico-educativi della “prospettiva della prospettiva” indotta dai contenuti e dalle forme letterarie “in divenire” (secondo il non confondibile lessico di Bachtin) dell’attuale racconto di formazione.

Roma, Università “La Sapienza”,

giugno 2009

 Nicola Siciliani de Cumis

Nota. In aggiunta a quanto già detto e ad ulteriore conferma del carattere didattico-universitario della proposta nel suo insieme (con i suoi caratteri di provvisorietà e di apertura all’indagine), fornisco qui di seguito alcuni appunti promemoria, utili a restituire il senso effettivo del lavoro svolto fin qui e di quello in fieri:

  1. L’edizione si spiega anzitutto dall’interno delle specificità universitarie di contesto, che da diciassette anni a questa parte hanno caratterizzato le particolari quotidianità didattiche e di ricerca in cui lo studio del Poema pedagogico è avvenuto. Vuole essere pertanto un contributo, tanto alla linea di politica culturale e di produttività scientifica propria della Cattedra di Pedagogia generale I, nel Dipartimento di ricerche storico-filosofiche e pedagogiche dell’Università degli studi “La Sapienza” di Roma (Facoltà di Filosofia); quanto all’impegno individuale e collettivo profuso da colleghi e studenti nel Corso di laurea in Filosofia del vecchio ordinamento, e ora, col nuovo ordinamento, nei Corsi di laurea in  Scienze dell’educazione  e della formazione (triennale) e in Pedagogia e scienze dell’educazione e della formazione (specialistica e magistrale). Voglio dire, cioè, che la lettura, l’approfondimento e l’impegno di traduzione del romanzo di Makarenko, si spiegano anche alla luce di quanto è istituzionalmente avvenuto e continua ad avvenire nell’università italiana in generale e nella “Sapienza” romana in specie… Non è un caso, in questo quadro, che l’immagine fisica, il volto di Makarenko, corredato da alcuni suoi concetti-cardine (assieme ad analoghe configurazioni “promozionali” di Galileo Galilei, René Cartesio, John Locke, Immanuel Kant, Karl Marx, John Dewey, Karl Popper, Don Milani, Muhammad Yunus), sia stata scelta per spiegare, nella forma del segnalibro, la “filosofia” dell’azione didattica dei nostri corsi di laurea: «Nella tecnica pedagogica la gioia di domani è il principale mezzo di lavoro. Bisogna suscitare questa gioia, darle corpo e concretezza. In secondo luogo bisogna costantemente trasformare le forme più semplici di questa gioia in altre più complesse e umanamente significative»… Anche per questo, forse, gli autori che hanno riscosso contestualmente maggiore attenzione, per un confronto con Makarenko, sono stati Antonio Labriola, Antonio Gramsci, Dewey, Maria Montessori, Don Milani e Yunus.
  2. Le concrete attività di traduzione del Poema pedagogico, nel corso degli anni, si sono del resto variamente arricchite di una quantità notevole di esperienze parallele, che ne spiegano il carattere didattico e scientifico in progress. Tengo quindi a ricordare in proposito (e sia pure senza un ordine preciso): a) un mio intervento, assieme agli studenti, nell’ambito di una polemica della fine degli anni Novanta sul quotidiano “La Stampa”, a proposito della richiesta di qualcuno di togliere la voce Makarenko dalla “prossima edizione” della Garzantina di Filosofia, a cura di Gianni Vattimo; b) l’indagine di una stu- dentessa sull’ordine di comparsa dei personaggi nel Poema pedagogico, al fine di stabilire precisi motivi strutturali e l’interna unità del romanzo; c) una ricerca sui luoghi fisici e sulle scansioni temporali del Poema (in particolare, sul tema del viaggio), allo scopo di cogliere alcuni meccanismi propri e nuovi del Makarenko narratore (romanziere sui generis); d) le numerose letture di testi di Michail Michajlovič Bachtin, allo scopo di caratterizzare la peculiarità del Poema pedagogico come “romanzo di educazione” (di educazione anche alla traduzione) e come “romanzo d’infanzia”; e) alcune analisi di luoghi significativi delle Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere di Gramsci, sul tema della traduzione e delle relative dimensioni interindividuali e sociali; f) le ricorrenti comparazioni, con i conseguenti risultati per analogia e per differenza, tra le esistenti traduzioni italiane del Poema pedagogico e le possibili occasioni di traduzione offerte dai numerosi studenti stranieri che hanno letto e studiato il libro; g) le suggestioni ricevute dalle documentazioni periodiche prodotte nel corso degli anni, anche in tema di traduzioni del Poema pedagogico, dal Makarenko Referat di Marburgo; h) puntuali riflessioni sulla traduzione secondo Labriola, con particolare riferimento al primo del suoi Saggi sul materialismo storico (e alle traduzioni del Manifesto dei Comunisti); i) alcune indicazioni ricavate indirettamente dal lavoro di traduttore di Giovanni Mastroianni, in particolare dell’opera Teoria del materialismo storico di Nikolaj Ivanovič Bucharin e dei Romanzi di Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov; l) talune riflessioni sui rapporti tra le culture, sull’intercultura e il transculturale, con specifico riferimento alla figura del “mediatore culturale”; m) il “gioco” delle analogie e delle differenze tra il mondo di Makarenko e il nostro mondo attuale (nell’ottica degli inserimenti culturali operati dagli stessi studenti, leggendo il Poema); n) alcuni accostamenti tra la recensione e la traduzione (la traduzione come recensione), tra analogie e differenze di genere; o) osservazioni su Makarenko traduttore di se stesso, tra saggistica e narrativa; p) letture di libri teorico-pratici di vari autori, sul tema della traduzione e in particolare sul tema del rapporto tra errore e discrezionalità nell’opera del traduttore; q) considerazioni sul cinema come “traduttore” del Poema pedagogico e sul Poema pedagogico come “traduttore” del cinema; r) riflessioni sulla fotografia in rapporto al Poema pedagogico (anche dal punto di vista della poetica di Makarenko); s) osservazioni sui cinque sensi in relazione alla lingua di Makarenko; t) ipotesi sul carattere ipersemplificativo e eccessivamente didascalico della traduzione in lingua inglese del Poema; u) analisi delle costanti delle integrazioni apportate al testo, nelle più recenti edizioni del Poema pedagogico in Germania e in Russia (soprattutto rispetto alla seconda traduzione italiana del 1985); v) documentazioni sul tema della traduzione nei mass media italiani (soprattutto nei quotidiani degli ultimi trent’anni); z) considerazioni sulla puntata della trasmissione radiofonica Trame (Radio 2, 19 agosto 2009, ore 11,00), dedicata al Poema pedagogico…
  3. Il contributo di numerosi studenti, con la collaborazione di traduttori di lingua madre russa e ucraina, al prosieguo della revisione della traduzione del Poema pedagogico, nell’anno accademico 2008-2009. Si ricordano in particolare gli elaborati di Marcello Guglielmo, Irene Vaccaro, Antonella Rebecchini, Viola Tiberti, Francesco Tamburrino, Andrea Montis, Anna Rita Colavolpe, Sandra Focassati, Valentina Imparato, Olga Ciobanu, Salvatore Recce, Brunella Cipollaro, Roberta Ceccarelli, Fabiola Massimi, Alessandra Di Fulvio, Giulia D’Aguanno, Rosa Paolella, Alessia Affatato, Sabrina Colantoni, ecc.

In questo stesso ordine di idee, ho da registrare le seguenti integrazioni di brani del Poema pedagogico compresi nell’edizione moscovita del 2003, sfuggiti nel testo e qui di seguito restituiti (con riferimento alla pagina e al capoverso della presente edizione italiana, dove potrà avvenire l’inserimento del brano mancante):

[A p. 263, dopo l’attuale 1° capoverso]:

– Ecco, compagni, quella ragazza è mia e ce la avete voi; e poi il vostro colonista m’ha offeso, e pure senza motivo… ciononostante io non mi lamento… può essere che anch’io possa avere sbagliato in qualcosa, però la ragazza bisogna che me la restituiate, voi che ve ne fate di lei ?

Nell’ufficio c’erano Koval’ e Zadorov. Zadorov turbava molto Musij Karpovič, in quanto il tono beffardo di Šurka gli era ben noto da tempo. Zadorov non tradì le aspettative di Mussij Karpovič:

– Musij Karpovič, ma Lei a cosa tiene di più: alla sua testa o alla ragazza ?

– La testa è mia, ma pure la ragazza è mia – cercò di scherzare Musij Karpovič.

– In primo luogo, la sua Nataša non la vedrà mai più, va bene?

– Va bene, – rispose umilmente Musij Karpovič.

– In secondo luogo, se non smette di ficcare il naso là dove non deve, ci rimetterà la testa come niente.

[A p. 263, dopo l’attuale 2° capoverso]:

Zadorov accettò cupamente la capitolazione del nemico e cedette la posizione di combattimento a Koval’.

[A p. 263, dopo l’attuale 6° capoverso]:

– Come mai mi dite sempre di sì ? Forse che io non mi faccio capire, o cos’altro ? È proprio ciò che vi proponiamo: di prendere magari quella cosa in affitto in tutta chiarezza, e cioè, metà e metà. Dividiamo in due il lavoro, pure i guadagni, questa soluzione sarà d’esempio a tutto il popolo sovietico…

– Sì, sì – disse Koval’ guardando Musij Karpovič allegramente negli occhi.

– Che lo dite a fare, sempre questo sì, sì… non è che per caso volete riprendervi il mulino, e lasciar perdere il soviet del paese ? Beh, certo, che il mulino si trovi nel vostro cortile è un fatto, ma anche il soviet è del paese, e si può dire che è potere sovietico pure quello.

– È così, – disse Koval’.

– Voi dite di “sì”, o altrimenti “così” e “così”, ma che cosa intendete dire, per l’esattezza ?

– E… Come mai è arrivato lei e non il presidente ?

– Ce l’ho dietro, la carta, ecco perché… E il presidente mi ha detto: vacci tu, Musij. Siccome nella colonia ti rispettano di più, mettiti d’accordo con loro. Con calma.

– La rispettano di più ? – chiese Zadorov, guardando fisso la testa bendata di Musij Karpovič.

– Ma va, questo succede perfino in famiglia, – rise Musij Karpovič. Sapete, può capitare di tutto, che un fratello prenda per il petto l’altro fratello, e altre cose di questo tipo…

– Ebbene, egregio Musij Karpovič – dissi. Dobbiamo riflettere, parlare con i ragazzi e poi le daremo una risposta. D’accordo ?

– E chi dice che non è d’accordo ?

Certo, avete una cooperativa, dovete parlare fra di voi, mentre noi torneremo ancora. Torneremo col presidente. Musij Karpovič si congedò e andò via; e fu allora che Koval’ e Zadorov si scaraventarono contro di me.

– Perché stare a pensare? Bisogna cacciarlo, punto e basta. Ci mancava solo che facessimo compagnia con quei balordi.

– Ma no, compagni, – obiettavo io, – guardate, eccola pure, la carta: la proposta ufficiale del soviet del paese, come potremmo cacciare qualcuno e mandarlo al diavolo ? Bisogna invece agire con diplomazia e cortesia.

Koval’ non mi diede ragione.

– Čobot gli ha rotto la testa, questa sì che è la diplomazia più giusta, ed è pure il potere sovietico più giusto. Rimarranno nel soviet del paese per altri tre giorni, e poi basta.

– Fa lo stesso. Questo Musij non sarebbe venuto senza un motivo. Deve essere capitata qualcosa a… alla gestione dei beni statali; bisogna scoprire di cosa si tratta. Non affrettiamoci perché non serve. La decisione in merito all’affitto arriverà minimo fra un mese.

[A p. 263, in prosecuzione del 7° capoverso]:

Giacché non avevamo fretta nelle questioni che riguardavano il mulino, i nostri eventuali soci si interessarono agli altri aspetti della nostra vita, soprattutto di quella di Šere. Luka Semënovič passava giornate intere nel porcile, chiedendo a Šere i particolari sul menù suino, l’allevamento dei maialini, la cura delle scrofe, e chiedeva perfino di vendergli un maiale giovane che fosse buono anche per la riproduzione.

[A p. 263, dopo il 12° capoverso]:

– E nessun cavallo ? – si stupì Karabanov.

– Ci sono quelli che valgono più dei nostri, – intervenne Anton con voce risentita. Pensa, abbiamo raccolto mille rubli per i cavalli, per comprarne due. Non è mica come prima: il Rosso l’hanno portato chissà da dove, e gratis… Anche la Banditka gratis, e Mery e Nibbio, sono buoni cavalli. Adesso devo- no essere dati, pensa un po’, cinquecento rubli. Che cavallo deve essere un cavallo da cinquecento ru- bli? Eh ?

– Maahh, – sospirò Karabanov. Da cinquecento rubli, deve essere proprio una bestia di cavallo. Una volta ho visto un cavallo, ne costava non meno di mille.

– Mille? Ma dai! Che cavallo è da mille rubli ? Come si fa a cavalcarlo ?

– E alla fiera, come sono i cavalli ? – chiese Semën.

– Sono così: una giumenta robusta e grigia, ma il collo è quello d’un vitello, uno schifo, quattrocento rubli. O un’altra: l’altezza giusta, e il collo, e tutto il resto, ma le gambe sono quelle d’un gambero.

[A p. 264, dopo il 1° capoverso]:

– Non comprate, altrimenti nei paesi vi imbrogliano. Là gli uomini sono peggio degli ussari.

– Come ? Ingannano me ? Me, un vecchio ussaro! M’inganna un tipo qualunque? Non è mai successo, da che mondo è mondo !

Karabanov dava ragione a Kalina Ivanovič:

– Quei tipi sì che hanno dei cavalli. Lo sapete, che gente è ? Secondo voi, non ci sono più cavalli nei paesi ? Durante la guerra quella gente nascondeva i cavallini e li allevava…

Anton, come sempre, faceva il neutrale:

– Ma che discutete a fare ? Per voi è la stessa cosa, basta che il cavallo sia buono.

[A p. 269, dopo il terz’ultimo capoverso]:

– Beh, quando finisci, finisci.

– E quando ?

– Faresti meglio a chiedere: saranno buone, le patate ? Tanto sei tu che le devi mangiare.

E il nuovo arrivato tace, cominciando così ad acquisire una nuova esperienza insolita e travolgente.

[A p. 369, il quart’ultimo capoverso]:

E c’è ancora tanta strada da fare verso la splendida libertà di una società umana perfetta, in quanto non è difficile rendere l’uomo una personalità armonica, creatrice, piena di iniziativa, collettivista, ma non è affatto facile risolvere il problema dei chiodi.

[A p. 533, è l’incipit del capitolo]:

Subito dopo la prima neve gli eventi si successero tanto velocemente, quanto non era mai accaduto nella mia vita. Sembrava che, più che sui binari, noi viaggiassimo su una carreggiata tortuosa tutta sassi. Sobbalzavamo, sballottolati da una parte all’altra, riuscivamo appena a reggerci usando dei sostegni. Ma, allo stesso tempo, la colonia non ebbe mai per sé una disciplina tanto condivisa né un clima di fiducia tanto diffuso. Fu allora che ebbi la possibilità di mettere alla prova la tempra del «collettivo Gor’kij», mantenuto intatto fino alla fine. Procedevamo correndo in avanti, senza badare ai binari, se fossero sicuri e perfetti. In lontananza scorgevamo ora orizzonti particolarmente radiosi, ora nebbie ansiose e grigie. Venti squadre di gor’kiani fissavano con severità quei paesaggi, e nondimeno ascoltavano le più semplici parole quotidiane concernenti le decisioni in modo quasi meccanico e si buttavano dove era richiesto senza guardarsi troppo attorno e senza seguire con gli occhi il vicino.

[A p. 533, integra l’attuale 5° capoverso]

Si immersero fino al collo in nuove faccende, e giorno e notte venivano perfezionando i vari aspetti dell’esistenza della comune che stava per nascere.

[Alle pp. 533-534, i cinque brani che seguono integrano variamente il testo; ma, a mio parere, necessitano di un ulteriore riscontro sui manoscritti]:

Mi interessava, per esempio, il seguente punto della faccenda nuova e fondamentale: era o non era fuori luogo l’applicazione dell’ultima parola della scienza pedagogica, diciamo, la tesi di Šulghin, secondo la quale l’autogoverno non poteva essere senza fondamento e doveva attraversare una fase di lotta clandestina. Il parquet, gli specchi, gli ornamenti sulle pareti e sul soffitto come i buoni mobili avrebbero dovuto essere sacrificati allo spietato idolo della scienza pedagogica, oppure gli uomini della Commissione straordinaria, considerate le loro idee prettamente materiali, avrebbero rinunciato alle ultime conclusioni della scienza. Quel problema ostico fu presto risolto, ma, ahimé, senza alcun rispetto per la scienza.

– Vede, ho da chiederle qualcosa: tutto ciò è un monumento a Dzeržinskij. È stato costruito come si deve, lo sa: perché noi ci abbiamo messo ciò che avevamo di meglio e di più caro. Se prendiamo i ragazzi direttamente dalla strada, finché non li educhiamo, non ne rimarrà niente. Mentre invece la comune serve, e servirà a lungo, per gli stessi ragazzi senza tetto. Sappiamo che lei dispone di un collettivo buono e disciplinato, anche se è fatto di fuorilegge… la cosa più importante è però che sia disciplinato.

Mi faceva piacere che ai ragazzi della «Gorkij» fosse stata affidata la fondazione di nuovo collettivo, ma solo di ritorno alla colonia mi accorsi dei risvolti dell’affidamento che per me erano tragici. Chi avrei potuto discriminare ? Discriminare i migliori avrebbe significato indebolire la colonia, discriminare gli altri avrebbe portato al mancato raggiungimento dell’obiettivo posto da Bart. Inoltre, volevo che la comune fosse un meritato privilegio da parte dei migliori.

I comandanti non volevano assolutamente consegnare i ragazzi migliori. Non decisero niente, e affidarono la scelta a me e a Lapot’:

– Voi farete certo la cosa giusta!

[A p. 534, l’8° capoverso, si completa con il brano seguente]:

Tutto ciò accadeva sullo sfondo non solo di un atteggiamento negativo nei miei confronti, ma quasi in virtù del disprezzo che ultimamente aveva preso stabilmente posto nei circoli dei “pensatori pedagogici” del Commissariato popolare dell’istruzione di allora (il Narkompros). Quei circoli sembravano chiari a tutti, ma chissà come, capitò che per me non era rimasta più quasi nessuna possibilità di salvezza:

– Comunque, questo Makarenko è proprio un tipo strano.

Allora avevo pazienza da vendere, riuscivo per mesi a mettere da parte le sensazioni più spiacevoli che erano di disturbo nel lavoro. Ma anche alla mia pazienza si stava a porre un limite; incominciavo ad avvertire perfino del nervosismo.

Non passava giorno che non mi si facesse vedere, con o senza motivo, come fossi caduto in basso. Stavo già per dare spago alla convinzione che io rappresentassi un tipo sospetto, e che dovessi urgentemente guardarmi dentro per verificare che pattume il tempo avesse gettato nel mio essere, senza possibilità di perdono né pietà.

Sembrava che non ci fosse compito più semplice e comprensibile, e per giunta più piacevole.

[A p. 559, il 4° capoverso va controllato e integrato con ciò che segue]:

Mi avevano sempre offeso quelle definizioni perché non avevano niente di umano. Una colonia di polipi soddisfa abbastanza bene quella definizione, ma nessuna società umana si predisporrà a “reagire complessivamente”, e nessuna persona perbene sarà disposta a considerare la decisione del nostro partito o il decreto del Sovnarkom, o, diciamo, la vicinanza di Hitler solo come “un eccitante”. No, altre persone scriveranno delle parole nuove sul collettivo, e scriveranno innanzitutto come va conservato, educato alla lotta e come va rispettata la sua vita felice.

  1. Le immagini che illustrano la presente edizione del Poema pedagogico sono tratte da fonti le più diverse, qui non specificate. In particolare, le fotografie relative ai personaggi del romanzo identifica- no solo approssimativamente, in didascalia, i prototipi cui Makarenko si ispira nel suo racconto. Ma questi sono lasciati di proposito nel vago, per non appesantire la pagina di note lunghe e talvolta molto dettagliate; e per sottolineare la dimensione volutamente evocativa, tutt’altro che pedissequamente illustrativa, delle figure umane che sono alla base dell’esperienza reale, su cui il romanzo makarenkiano si fonda.

Il tema della fotografia, in relazione all’immaginario makarenkiano e al Poema pedagogico in specie, è tuttavia oggetto di studi ulteriori: e, intanto, da parte di Daniela Pianta, nella Tesi di laurea magistrale in Pedagogia generale su Makarenko e la fotografia (attualmente in preparazione).