LEONARDO SI GIUDICA DA LONTANO

Franco Ferrarotti parla di Leonardo da Vinci in occasione del V° centenario della morte

Intervista di Agostino Bagnato

Franco Ferrarotti

Il padre della sociologia italiana e una delle più importanti personalità della cultura a partire dalla seconda metà del Novecento, si sofferma su peculiarità, distintività e grandezza della maggiore figura del Rinascimento e ne indica l’eredità per le future generazioni.

La rivista ringrazia il prof. Franco Ferrarotti per la grande disponibilità e per il prezioso contributo fornito con la presente intervista alle iniziative per ricordare Leonardo programmate dall’Associazione Culturale “l’albatros”.

Professor Ferrarotti, a distanza di cinquecento anni dalla morte, la figura di Leonardo da Vinci suscita ancora interesse, curiosità, ammirazione. Gli studi e le ricerche sulla sua vita e l’attività artistica, scientifica, tecnica, artigianale, si moltiplicano sempre di più. Perché continua e cresce questa grande attenzione?

La ragione mi sembra intuibile. Oggi il progresso delle scienze appare legato, se non determinato, dalla loro crescente specializzazione. Ma accade che l’albero impedisca di vedere la foresta. Leonardo è, come si dice, «universale», non perché si proponga come Victor Hugo, secoli dopo, di essere un «médiocre immense», ma perché resta fedele all’arte e alla scienza come imprese umane: arte come artigianato, scienza come osservazione dell’ambiente e rilevazione dell’interconnessione fra i vari aspetti del reale.

Come giudica la cultura contemporanea la figura di Leonardo e cosa resta della sua straordinaria attività in ogni campo del sapere?

La cultura contemporanea non può comprendere la «mente» di Leonardo perché è pervasivamente dominata dal criterio utilitario del tornaconto e confonde pertanto valori strumentali e valori finali.

Il genio di Leonardo è frutto del positivo contesto umanistico nella Firenze del secondo Quattrocento e della Milano sforzesca, ma è anche un fatto individuale, un prodotto a se stante, risultato di una condizione biologa e mentale. Può entrare in questo percorso, che non è certamente unico in quel tempo, anche se nessuno raggiunge la completezza di Leonardo, la sua condizione di bastardo?

L’essenza dell’individuo non è comprensibile in termini puramente individuali. Infatti: in-dividuum; dividuum; con-dividuum. Fin dal taglio del cordone ombelicale, non si vive, ma si convive. Il testo richiama e rimanda al contesto. Leonardo sta a testimoniare l’esistenza di un nesso misterioso che, a mio giudizio, esiste fra marginalità e creatività. Leonardo ha avuto la fortuna di essere un figlio naturale di un notaio fiorentino e di una contadina. A Roma era meno noto di Raffaello Sanzio (le «Stanze» del Papa) e di Michelangelo Buonarroti (la «Cappella Sistina»). Leonardo è sempre alla ricerca di un padrone, non per servire, ma per servirsene. A Milano, Ludovico il Moro; in Francia, il re. Sono attratti verso il non ancora conosciuto, i marginali, gli esclusi, i non-sistemati. Guardano l’ambiente sociale e la natura con occhi liberi, aperti. Senza saperlo, seguono il consiglio di Gesù di Nazareth: «Guardate i gigli del campo, gli uccelli dell’aria».

Leonardo non era dotato di grande cultura. La sua educazione si basa sull’esperienza nella bottega di Andrea Verrocchio, ma egli stesso dichiara nei quaderni che ha cominciato a vergare dal 1482, appena giunto a Milano, che l’osservazione e l’esperienza sono alla base della sua formazione. Chi gli ha insegnato a dissezionare i cadaveri se non l’istinto e il bisogno di conoscere…

La scuola non è necessariamente un mattatoio di intelligenze. Ma la cultura, intesa come capitale privato e piattaforma per far carriera, è la negazione dell’auto-consapevolezza e della libertà spregiudicata di giudizio. Forse bisognerà tornare alla saggezza degli antichi padri analfabeti per salvarsi dal torrente di informazioni che deformano e creano gli idiots savants che sanno tutto e non capiscono niente. Leonardo squarcia i cadaveri, che si fa portare di notte perché è vietato, allo scopo di vedere cosa c’è dentro, come sono fatti muscoli e ossa. Forse bisogna recuperare, oggi, la curiosità infantile che la cultura formale-scolastica offusca. Parafrasi: «Se non diventerete bambini, non entrerete nel regno della verità». Le macchine elettroniche, capaci di operazioni complesse in pochi minuti, sono meravigliose, ma sono anche stupide perché non sanno indugiare, fermarsi ad osservare, riflettere, dubitare.

Franco Ferrarotti nello studio

Disegno, pittura, scultura, fisica, matematica, architettura, studi anatomici, botanica, idraulica, astronomia sono gli ambiti in cui si esercita l’ingegno leonardesco. Cosa ha spinto quest’uomo a occuparsi di fortificazioni, prosciugamenti di paludi, deviazioni di fiumi e costruzioni di canali come quelli di Milano che hanno trasformato la città medievale in un moderno centro rinascimentale dopo la peste del 1484? E’ soltanto curiosità, bisogno di denaro o volontà di sfidare tutte le discipline, sperimentando nuove tecniche che porteranno anche alle difficoltà di conservazione del Cenacolo e al fallimento dell’affresco relativo alla Battaglia di Anghiari. Si può parlare della ricerca e della necessità di affermazione e di gratificazione, di distinguersi da tutti. «Non insegnare e sarai solo eccellente», scrive nel 1499 in un appunto sulla difesa sottomarina. E aggiunge qualche tempo dopo «E se sarai solo tu sarai tutto tuo» (Ash. I 27v). Era gelosissimo del proprio lavoro e solo pochi discepoli potevano accostarsi ai suoi studi. La sua bottega nella Corte Vecchia del Castello Sforzesco era un luogo riservatissimo. Soltanto Ludovico il Moro poteva accedervi…

Leonardo aveva le qualità fondamentali del grande ricercatore: riservatezza, indifferenza verso il successo, diffidenza della notorietà. Mi fa pensare ad Archimede, che brucia i suoi taccuini dopo aver salvato Siracusa. Gli scienziati di oggi lavorano in gruppo, hanno bisogno di finanziamenti massicci, pubblici. Di qui, big science; big money; big government. Gli scienziati tradiscono i loro segreti e passano i risultati delle loro ricerche ai politici senza alcuna possibilità di controllo sul loro uso. Di qui: le mortali minacce per il genere umano nell’era nucleare.

Un episodio leggendario nella vita di Leonardo è quello legato al volo umano. Come può essere giudicato quel lungo sogno coltivato razionalmente tra studio dell’aria, dei volatili, della meccanica e delle leggi di gravità allora sconosciute, tra esperimenti, tentativi, fino all’episodio di Zoroastro da Peretola che crolla nella boscaglia dopo qualche decina di metri di volo con una macchina ad ala battente?

Poeti e artisti sono stati grandi camminatori. Arthur Rimbaud andava a piedi da Ginevra a Nizza. Sconfiggere la «frizione dello spazio» e la «legge della gravità» è un sogno ricorrente fra i semplici di spirito e i bambini che amano i palloncini che volano in alto e si perdono in cielo.

Leonardo è stato al servizio di Cesare Borgia, come ingegnere militare. La figura del duca di Valentinois, che alla testa di un piccolo esercito donatogli dal re di Francia Luigi XII in cambio di favori presso Alessandro VI per ottenere la dispensa e sposare Anna di Bretagna, è una tragedia del primo Rinascimento italiano. Questo condottiero, giudicato uno scellerato dai contemporanei ma il precursore e modello del “principe” da Niccolò Machiavelli, ha messo a ferro e fuoco la Romagna e le Marche, sperando di creare un ducato da confluire nello Stato della Chiesa, macchiandosi di orribili delitti. Leonardo non esprime alcun giudizio sulla figura del suo padrone, come per tante altre personalità, comprese quelle familiari. Cosa c’è dietro questa scelta che non trova motivazioni, se non nel bisogno di ottenere un impiego, di avere un’occupazione redditizia che lo metta al riparo dalle difficoltà dei tempi e della vita, indipendentemente dalla qualità morali?

Leonardo teneva ben distinti e, anzi, contrapposti i valori strumentali rispetto ai valori finali. Ciò che per lui conta è vedere, osservare, capire e riprodurre, almeno potenzialmente, i rapporti e i processi naturali. Non è interessato a «reinventare» la natura né, come suggeriva Bacone, far finta di obbedirle per carpirne le leggi e quindi dominarla. Per Leonardo è importante contemplare, ruminare. La gioia dello sguardo, del vedere.

Franco Ferrarotti nella sede di La Critica Sociologica

Niccolò Machiavelli, in un momento particolarmente difficile della sua esistenza, ha conosciuto Leonardo e ne ha apprezzato le qualità umane e artistiche. Come si spiega questo rapporto tra due fiorentini così distanti di carattere e di esperienza?

Machiavelli era un politico frustrato. La sua grande rivoluzione consiste nel disancorare la felicità dall’etica. Leonardo è un contemplatore quieto, ruminante. La mucca nel prato.

In Leonardo credo che ci sia un elemento di trascendenza, di cui forse non era consapevole. In Leonardo si coglie il presentimento di una sovra-realtà oltre l’umanità. Si avverte, in certi paesaggi di sfondo, che l’uomo non è, ma diviene. L’uomo è un progetto per l’uomo, un interrogativo. Può compiersi non nella conquista, nell’affermarsi violento, bensì nell’accettazione e nel riconoscimento dei propri limiti. 

Cosa ereditano l’Europa e il mondo contemporaneo dalla vita e dall’opera di Leonardo? Qual è il loro insegnamento?

Il significato del contemplare, ruminare, ascoltare invece del conquistare e, forse inavvertitamente, del calpestare. Non vincere, ma convincere, vivere come convivere. Conoscere, non afferrare, conoscere come riconoscere. Non siamo né causalmente determinati e dipendenti né totalmente indipendenti. Siamo inter-dipendenti, con gli altri umani e con la natura. Curiosità e gioco sono le grandi doti infantili. Il genio di Leonardo consiste, a mio parere, nel non averle perdute neppure da vecchio.

Professor Ferrarotti, quale consiglio darebbe a chi voglia accostarsi a Leonardo e alla sua opera? Può essere considerato ancora un moderno?

Né moderno né post-moderno. Lo sviluppo storico non ha un libretto prefissato. Non ci sono intellettuali-capistazione con il fischietto in mano. Sfida gli avverbi di tempo pre – post, e così via. Da Leonardo si possono solo imparare i limiti della cultura formale: si sa ciò che si sperimenta. L’universalità del genio di Leonardo è essenzialmente il suo sprotetto abbandonarsi alla visione e all’osservazione della realtà nel suo svolgersi, nascere e morire, scoprire il neonato nel vegliardo, il movimento ciclico dell’armonia universale, in cui siamo effimere faville.

Grazie

Maggio 2019