Maksim Gor’kij e l’Italia

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MAKSIM GOR’KIJ E L’ITALIA

Roma – Biblioteca Vallicelliana

mercoledì 12 dicembre 2018

Agostino Bagnato

Biblioteca Vallicelliana: partecipanti in sala

QUADRO DI CONTESTO

«A Napoli sono in sciopero i tranvieri: per tutta la lunghezza della riviera di Chiaia si stende una catena di vetture vuote; in piazza della Vittoria si è radunata una folla di conducenti e fattorini allegri e chiassosi, mobili come l’argento vivo: napoletani». Non sono parole di Matilde Serao ma di Maksim Gor’kij.

«Lentamente, con la preghiera sulle labbra, si avvicinò all’arcangelo Michele, patrono di Senerchia (Provincia di Avellino nda); gli s’inginocchiò davanti, gli sfiorò la mano con la sua mano, che portò poi alle labbra; quindi, inosservata, scivolò accanto al seduttore di sua figlia. Lo colpì con l’accetta due volte sul capo, incidendovi una V che significava “Vendetta”». Non è Grazia Deledda ma Maksim Gor’kij.

«Fui strappato via dalla barca, vidi i pendii neri degli scogli frastagliati, aguzzi come coltelli, vidi la testa di mio padre in alto, sopra di me, e poi, più sopra, gli artigli del diavolo. Lo raccolsero circa due ore dopo, col dorso spezzato e il cranico spaccato fino al cervello». Non è Giovanni Verga ma Maksim Gor’kij.

«Nelle calme notti estive il mare è placido come l’anima di un bimbo stanco dei giochi della giornata, e sonnecchia respirando appena, immerso in sogni meravigliosi. Se di notte si nuota nelle sue acque dense e tiepide, sotto le dita brillano scintille turchine, una fiamma azzurra si spande estatica intorno, e l’anima si fonde dolcemente in questo fuoco, carezzevole come la favola di una madre». Non è Edmondo De Amicis ma Maksim Gor’kij.

«L’uomo grandioso e collettivo rapidamente cura le sue ferite preparandosi a una nuova lotta per la vita, mentre la terra sotto i suoi piedi di tanto in tanto ancora trema. Questo magnifico uomo è l’Italia: sa lavorare e sa vivere». Non è Gabriele D’Annunzio, ma Maksim Gor’kij.

Agostino Bagnato svolge il suo intervento di apertura

Ecco alcuni esempi tratti da Skazki ob Italii, letteralmente Racconti sull’Italia, meglio noti come Fiabe italiane, che Gor’kij scrisse in tempi diversi tra il 1911 e il 1913, pubblicati su varie riviste russe e raccolti in volume dopo la Rivoluzione d’ottobre. Gli storici italiani di letteratura russa, a cominciare da Wolf Giusti, al loro apparire parlarono di opere minori, non perfettamente riuscite, giudicate manieristiche ed enfatiche. Bisogna dire che l’autore scrisse i racconti per i lettori russi, per fare conoscere il carattere degli Italiani, i costumi e le abitudini, l’ambiente sociale della terra che tanto amava. Il suo obiettivo era anche legato a testimoniare l’orientamento politico e rivoluzionario dei lavoratori italiani, in quegli anni impegnati su diversi fronti, facendo sentire la vicinanza e la solidarietà dei rivoluzionari russi. In ogni caso, resta un generoso tentativo di rappresentare la realtà del Paese amico, che ha tanto amato e che lo ha ospitato lungamente.

Del soggiorno italiano di molti altri scrittori stranieri non è rimasta traccia nella loro attività letteraria, segno evidente che il rapporto col Paese ospitante era soltanto un mero pretesto, molto spesso legato alle scelte di villeggiatura per regnati, alle tendenze dell’aristocrazia e allo snobismo di molti intellettuali e artisti. Molto poco o quasi nulla era legato alla vera natura dell’Italia.

Nicola Siciliani de Cumis

Ma perché Maksim Gor’kij, nel 1906, al culmine del successo, ha deciso di vivere in Italia? Nel suo caso, le ragioni sono note. Egli era affascinato dall’Italia, dalla sua storia, dalla cultura, dall’arte, dalla popolazione, dal clima favorevole. L’Italia dei Comuni e del Rinascimento, dell’Illuminismo napoletano e della rivoluzione partenopea, delle lotte risorgimentali lo suggestionavano e facevano parte del suo bagaglio formativo e culturale. La figura leggendaria di Giuseppe Garibaldi lo aveva affascinato fin da ragazzo, quando ne sentì parlare sui battelli che navigavano sul Volga; egli lo cita spesso come esempio di coraggio e altruismo. Ma Gor’kij era affascinato soprattutto dal contesto politico e sociale dell’inizio del Novecento. Era l’Italia delle società operaie, di quelle di mutuo soccorso, delle leghe contadine e delle casse rurali, dell’occupazione delle terre demaniali e di uso civico, degli scioperi dei braccianti, delle prime rivendicazioni operaie. I Fasci siciliani erano un esempio di rivolta sociale, come le giornate di Milano del 1898. Egli sentiva vicina l’Italia al suo sentimento, pensava alla Russia e alle regioni del Volga e del Caucaso dopo l’abolizione della servitù della gleba, da una parte e alla condizione degli operai nella crescente industria russa e del capitalismo nelle città in rapida espansione, dall’altra.

Del resto, fin dall’Ottocento, in Italia erano vissuti esuli e dissidenti russi, artisti e intellettuali. I nomi di Zinaida Volkonskaja, Nikolaj Gogol’, Orest Kiprenskij, Aleksandr Ivanov, Karl Brjullov, Michail Glinka, Konstantin Ton parlano per tutti. Gor’kij lo sapeva. Quello che non sapeva è che sarebbe finito a Capri, l’isola dell’imperatore Tiberio nel suo ritiro dorato, residenza di lusso per tanta nobiltà internazionale a partire dal Settecento. Come avrebbe potuto continuare a raccontare la Russia stando così lontano? Vladimir Il’ič Lenin, al quale aveva confidato a Pietroburgo nel 1903 di volere scrivere la saga di una famiglia russa dall’abolizione della servitù della gleba in avanti, gli aveva suggerito di raggruppare i temi dei suoi racconti in un romanzo che parlasse della condizione operaia in Russia e di dedicarsi all’attualità rivoluzionaria rappresentando la lotta contro lo zarismo e lo sfruttamento capitalista. Sarebbe così nata Mat’ (La madre), mentre la saga sulla dinastia industriale sarebbe stata scritta successivamente e sarebbe diventato il romanzo Delo Artomonovych (L’affare degli Artomonov), mentre negli anni Venti avrebbe visto la luce Žizn’ Klima Samgina (La vita di Klim Sangin), affresco sulla crisi della borghesia alla vigilia della rivoluzione del 1905. Romanzo grandioso, che per molti aspetti ha la struttura e la solidità di Vojna i Mir (Guerra e Pace) di Lev Tolstoj, rimasto incompiuto. Avrebbe dovuto raccontare le vicende del protagonista e degli altri numerosi personaggi, uomini e donne, fino alla Rivoluzione d’ottobre, inevitabile sbocco della crisi della borghesia industriale, mercantile e impiegatizia, oltre che epilogo delle lotte contro lo zarismo e l’arretratezza strutturale della Russia. La morte dello scrittore nel 1936 ha impedito la conclusione di questa grandiosa opera narrativa, composta in gran parte in Italia, precisamente a Sorrento.

Aldo Demartis

CAPRI

Il primo soggiorno italiano di Maksim Gor’kij è stata l’isola di Capri, dove è rimasto pressoché ininterrottamente dalla fine del 1906 a tutto il 1913. Come e perché era andato a finire proprio a Capri? Avrebbe potuto scegliere la riviera ligure, Taormina, oppure la Provenza, la Costa Azzurra o le Isole Baleari, addirittura Madera, come facevano tanti europei e americani in quegli anni. Ha preferito Capri perché a Napoli era stato accolto trionfalmente da Arturo Labriola e dal gruppo dei socialisti meridionali, oltre che dagli studenti russi della locale Università che avevano creato una Biblioteca russa. Questa atmosfera calda e accogliente faceva da completamento alle ragioni strettamente culturali, di cui si è detto prima.

Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905, egli è stato arrestato e poi costretto all’esilio. I socialisti napoletani erano stati tra i più attivi nella protesta e nelle manifestazioni di solidarietà. Avevano manifestato anche contro la progettata visita dello zar Nicola II in Italia, annullata per paura di attentati. Dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti, accolto trionfalmente da scrittori, poeti e lavoratori, in seguito alla campagna ostile per la presenza dell’attrice Anna Fëdorovna Andreeva, sua compagna nella vita, fece ritorno in Europa e giunse a Napoli nel mese di ottobre, in compagnia della donna, anche qui accolto festosamente dagli studenti russi della locale Università, dai circoli socialisti e dalla popolazione. Il divieto di rappresentare alcune sue opere teatrali ne avevano accresciuto la fama. Il sindacalista Arturo Labriola si fece promotore della solidarietà politica e umana. Così lo scrittore, dopo qualche giorno di permanenza in albergo, decise di recarsi a Capri. Prese alloggio nel lussuoso hotel Quisisana, ma non era la sede ideale per lavorare, schivo com’era della mondanità e dei fasti borghesi. Prese in affitto villa Blaseus, stringendo una solida amicizia con il proprietario Edoardo Settanni. Si pose alacremente al lavoro e in poco tempo ultimò il grande romanzo Mat’ (La madre), mantenendo stretti rapporti con i giornali e le riviste russe dove continuò a inviare i suoi scritti.

Armida Corridori

Sul soggiorno caprese sono state scritte molte opere da parte di ricercatori russi e italiani, e lasciate numerose testimonianze a cominciare da coloro che gli hanno fatto visita in quegli anni. Gor’kij apre le porte della sua residenza caprese, prima a Villa Blaseus, poi a Villa Behring e infine a Villa Pierina, agli esuli russi e ai numerosi amici italiani. Si reca spesso a Napoli per assistere alle rappresentazioni teatrali, è affascinato da Edoardo Scarpetta che giudica attore geniale; in questo senso resta anche una testimonianza di Eduardo De Filippo, allora adolescente. Ma è soprattutto con Arturo Labriola che intrattiene rapporti stretti, con gli intellettuali e uomini di cultura socialisti, con molti esponenti dell’ala liberale mazziniana e democratica. Si reca spesso nelle più importanti città italiane, incontra Giovanni Cena, Sibilla Aleramo, Antonio Fogazzaro, Achille Torelli, Roberto Bracco, per citare i più importanti e noti.

Dalla Russia giungono i primi ospiti della scuola politica che lo scrittore, unitamente ad altri rivoluzionari russi, decidono di aprire proprio sull’isola, quasi in concorrenza se non opposizione a quella che a Parigi aveva aperto Vladimir Lenin. Tra gli altri ci sono Aleksandr Bogdanov e Vladimir Bazarov, giovani rivoluzionari che si distinguono nelle file del Partito operaio socialdemocratico russo per le loro posizioni radicali, in contrasto con quelle di Lenin e dello stesso Plechanov. E’ l’inizio di uno scontro senza quartiere che lo stesso Gor’kij non riuscirà a conciliare e che avrà conseguenze durature nella vita politica russa e su quella dello stesso scrittore, a causa dei rapporti di fraterna amicizia con Lenin.

I rapporti dello scrittore con gli abitanti di Capri erano della massima cordialità. A lungo sono durati i racconti sulle sue abitudini, i vestiti che ordinava dal sarto e le scarpe che si faceva fabbricare su misura, la frequentazione del barbiere e l’insegnamento dell’italiano da parte di un professore locale. Chissà quale accento gli avrà trasmesso!… La pianista Michela Chiara Borghese, di origini capresi, ne ha tracciato un profilo molto brillante nel volume A prua verso il divenire, dedicato a Gor’kij e Makarenko, pubblicato nel 2014.

Paola Cioni, Istituto Italiano di Cultura di San Pietroburgo

Esistono inoltre numerose testimonianze sulla frequentazione che Gor’kij aveva con i pescatori e quando Vladimir Il’ič giunse a Capri la prima volta lo condusse a pesca sulla barca di Giovanni Spadaro che lo soprannominerà «Signor Drin Drin!»

A Capri non cessò mai di scrivere e nei sette anni vissuti sull’isola videro la luce numerosi capolavori che, pubblicati dalla casa editrice Znanie di Pietroburgo e dall’editore Ladyšnikov di Berlino gli procuravano entrate sicure. Era generoso e aiutò chiunque avesse bisogno. Qualcuno ne approfittò anche, come sempre accade. Lasciava Capri per recarsi a visitare musei e gallerie, per incontrare amici e per prendere parte ad appuntamenti politici, così come si recò all’estero in numerose occasioni.

Quando rientrò in Russia, alla fine del 1913, in conseguenza dell’amnistia concessa dallo zar Nicola II per celebrare i 300 anni della dinastia Romanov, riprese i contatti con l’ambiente letterario e rivoluzionario. Lo scoppio della guerra nel 1914 lo costrinse a rallentare l’attività, ma prese parte alle iniziative che portarono alla rivoluzione di febbraio 1917, all’abdicazione dello zar e al crollo dell’impero, anche se non sostenne direttamente le attività dei bolscevichi legate alla conquista del potere da parte di Lenin con l’assalto a Palazzo d’inverno e il successivo scioglimento della Duma, scelta che aprì, di fatto, la strada alla dittatura del proletariato. Infatti, Gor’kij non sostenne apertamente l’improvvisa accelerazione nella conquista del potere, con articoli sulla rivista Novaja Zizn’ (Nuova Vita) che suscitarono la disapprovazione dei bolscevichi e dello stesso Lenin.

Raffaele Aufiero

Visse gli anni della guerra civile e dell’economia di guerra un po’ isolato, anche per le precarie condizioni di salute. Continuò a scrivere incessantemente e proprio in quegli anni videro la luce alcune opere importanti, come Moi universitety (Le mie università).

Con Lenin i rapporti sono rimasti positivi, anche se non sono mancate divergenze espresse pubblicamente. Poiché la tubercolosi continuava a tormentarlo, a minarne le forze e a minacciarne l’esistenza, nel 1921 lo stesso Lenin gli consigliò di tornare a curarsi all’estero. Dietro questa attenzione da parte dell’amico rivoluzionario divenuto l’uomo più importante della Russia c’era la preoccupazione che il clima politico molto teso e le inevitabili lotte al Partito bolscevico avrebbero potuto avere qualche riflesso sullo stesso scrittore, non direttamente impegnato nella titanica fatica di costruire le fondamenta della società comunista, come facevano Anatolij Lunačarckij, Vladimir Majakovskij, Sergej Esenin, Aleksandr Blok e tantissimi poeti, scrittori, musicisti, pittori, attori, registi.

Maksim Gor’kij accettò il consiglio.

Dove recarsi? Capri era lontana, lontanissima, anche se poteva essere ancora la meta. La situazione politica in Italia non era più la stessa. Un certo Benito Mussolini aveva creato squadre armate, formate dai peggiori reazionari frammisti a plebaglia ignorante e violenta. Inizialmente era preferibile restare più vicino alla Russia, prima di approdare in Italia. Così Gor’kij girovagò per diverse città europee, continuando a lavorare e pubblicando le sue opere, ma senza trovare l’ambiente giusto e soprattutto il clima adatto alla sua salute.

Renato Capitani mentre legge  “Il canto della procellaria”

SORRENTO

Poi la svolta. Inevitabile.

Nel 1924 giunge a Napoli, chiede di tornare a Capri, ma la polizia gli nega il visto. E’ costretto a cercare una residenza sulla terraferma e si dirige verso Sorrento, trovando ospitalità nell’antica residenza dei duchi Maresca di Serracapriola, detta “Il Sorito”. Lo accompagna la segretaria Marija Zakrevskaja, meglio conosciuta come baronessa Mjura Budberg, dal nome dell’ex marito, un diplomatico baltico. L’ambiente è accogliente, il clima ottimo. Le figlie del duca conoscono qualche parola di russo e per lo scrittore è come trovarsi un po’ a Nižnij Novgorod. La famiglia lo raggiunge, il figlio Maksim con la moglie, le nipotine Marfa e Darija. Inizia la composizione del grande affresco sulla borghesia russa lungamente sognato. Nasce proprio in quegli anni Žizn’ Klima Samgina (La vita di Klim Samgin).

“Il Sorito” diventa il centro della vita culturale dell’emigrazione russa e di intellettuali, artisti e personalità di ogni sorta che visitano l’Italia. La polizia tiene d’occhio con discrezione l’abitazione sorrentina e l’ambasciata sovietica è attenta a sostenere e proteggere lo scrittore.

Ma in Unione Sovietica infuria la lotta per il potere all’interno del Partito Comunista, scatenata da Stalin per il controllo assoluto della vita politica e culturale. Dov’è Gor’kij? Cosa fa? Che pensa della richiesta di sciogliere tutte le organizzazioni letterarie e le associazioni artistiche per dare vita ad un unico organismo, sotto la direzione e il controllo del Partito Comunista e quindi da parte del governo? Vladimir Majakovskij si fa interprete di questa politica e sferra un duro attacco sull’assenza dello scrittore, sotto forma di appello per il suo rientro.

«Assai mi rincresce, compagno Gor’kij

che non vi si veda

nel cantiere dei nostri giorni.

Pensate

che da Capri

da una collina

si veda di più? //

Aleksej Masimyč

da dietro i vetri

vedete ancora

il planante falco?

Oppure con voi ora stringono amicizia

i biacchi striscianti nel giardino?»

Appreso del suicidio del poeta il 14 aprile 1930, lo scrittore ha battuto i pugni sul tavolo ed è scoppiato a piangere. Non c’era rancore nel vecchio uomo del Volga.

Gor’kij a Sorrento, dipinto di Sergej Dronov

All’inizio del 1928 Gork’kij è nel cantiere della Russia sovietica: visita fabbriche, scuole, canali navigabili, centrali elettriche, dighe, ospedali, prigioni, kolchozy e sovchozy, tiene conferenze, partecipa alla vita culturale. Scrive ampi resoconti di queste visite che pubblica sulle riviste sovietiche e che sono state utilizzate come propaganda dal regime, anche se in genere si tratta di ottima narrativa, pur se di circostanza. Molti resoconti saranno raccolti nel volume Attraverso la Russia. Nell’aprile del 1928 visitò il gulag ricavato dall’antico monastero Valaam sulle isole Solovki; tra i detenuti ci sono numerosi intellettuali, tra cui il giovanissimo Dmitrij Sergeevič Lichačëv. Si tratta di un episodio su cui ancora si discute, a causa delle controverse testimonianze di Aleksandr Solženicyn e di Nina Berberova. Nel mese di luglio si reca a Charkov per visitare la colonia che Anton Makarenko, anni prima a Poltava aveva chiamato Gor’kij in suo onore e si trattiene tre giorni con i besprizornye che gli avevano lungamente scritto. E’ rimasta famosa la lettera inviata la prima volta: «a Maksim Go’kij. Italia». La busta era giunta a destinazione, a riprova della popolarità dello scrittore in Italia e dell’efficienza dell’Ovra, la polizia fascista.

La vita in Russia è difficile. Stalin ha scatenato una nuova ondata di persecuzioni. Lo scrittore decide di lasciare nuovamente la terra natale. Torna a Sorrento nel 1931. Prosegue la stesura della terza parte di Klim Samgin, consapevole della complessità dell’opera che ha raggiunto dimensioni degne di Guerra e Pace. Quali siano state le ragioni del terzo soggiorno italiano non è ancora del tutto chiarito. Oltre alle ragioni di salute, ci sono sicuramente state motivazioni politiche, legale alla scelta dello scrittore di liberarsi dall’abbraccio soffocante del regime. Stalin temeva un eventuale intervento contro la sua politica. Del resto, dopo il suicidio di Majakosvkij, egli era la più alta autorità culturale in Russia, al pari di Thomas Mann per la Germania, André Gide per la Francia, Bertrand Russell per l’Inghilterra, Miquel de Unamuno per la Spagna, Fernando Pessoa per il Portogallo, John Dewey per gli Stati Uniti e Benedetto Croce per l’Italia. Una parola contro Stalin avrebbe avuto un’eco immediata in tutto il mondo e non facilmente si sarebbe potuta spegnere quella voce senza che il dittatore ne uscisse indenne, nonostante l’immenso potere.

Si può parlare di una sorta di mal d’Italia per Gor’kij. Avrebbe potuto raggiungere la costa Azzurra dove soggiornavano centinaia di esuli russi, la Svizzera dei laghi salubri, ma ha preferito Sorrento perché la località era poco frequentata. Del resto, egli conduceva vita appartata, dedito al lavoro. Un rapporto di polizia dell’epoca traccia con precisione le abitudini della famiglia. Il figlio Maksim conduceva una vita piuttosto vivace, con frequenti viaggi in automobile in molte città italiane e all’estero, controllato dalla polizia. Si recava sovente anche a Capri, che lo scrittore non poteva più visitare, a causa del divieto delle autorità italiane.

I dipinti di Salvatore Miglietta e di Sergej Dronov dedicati a Gor’kij

RIENTRO DEFINITIVO IN RUSSIA

Ma i tempi erano maturi per il definitivo rientro in patria. Stalin aveva scatenato il terrore, la prima terribile purga. Aveva bisogno del sostegno di un uomo come Gor’kij il cui prestigio era enorme, in Russia e all’estero. Ma lo scrittore non si è lasciato irretire e travolgere dalla furia staliniana. Il figlio Maksim era nel frattempo morto in circostanze dubbie, a causa di bagordi consumati con Jagoda, capo della polizia segreta. Si parlò di assassinio politico per costringere Gor’kij a schierarsi apertamente dalla parte di Stalin. Il congresso di costituzione dell’Unione degli scrittori e degli artisti tenutosi a Mosca nell’agosto del 1934, fu preparato da Gor’kij che ne assunse la presidenza. Era la sede dell’elaborazione del realismo socialista, teoria ufficiale della cultura sovietica. Ma la narrativa gor’kiana non appartiene e non risponde agli stilemi del piatto e grezzo realismo, attinente più che altro a mediocri narratori. Partito dal post romanticismo e dal realismo che richiama Saltykov-Ščedrin, Leskov, Korolenko, la sua prosa si distingue per la potenza del linguaggio e la scelta di ambienti e figure che rispondono alla Russia del tempo. L’invenzione narrativa è a sostegno della ricerca della verità, funzionale alla denuncia sociale e politica, nonché alla necessità di sostanziali cambiamenti che soltanto vasti movimenti di popolo avrebbero potuto realizzare, superando lo spontaneismo dei Narodniki e l’elitarismo delle prime organizzazioni socialiste. La novità è stata subito colta da Lev Tolstoj e da Anton Čechov, oltre che dalle nuove generazioni letterarie russe. Inoltre, è sufficiente comparare le pagine della giovinezza con quelle della maturità per rendersi conto della complessa evoluzione del linguaggio, della tessitura narrativa e dell’architettura scenica dentro le quali si muovono personaggi indimenticabili. Molte opere della maturità sono state concepite proprio in Italia, contraddicendo alcuni critici che sostenevano l’esaurirsi della capacità creativa dello scrittore lontano dalla terra natale.

In Italia, il successo di Gor’kij è stato immediato. Il romanzo Mat’ (La madre) si trovava in quasi tutte le famiglie di socialisti, repubblicani e comunisti, insieme a numerosi racconti. Alcune sue opere sono state tradotte anche da Eva Kuhn, moglie di Giovanni Amendola e madre di Giorgio, il futuro dirigente della Resistenza e del Partito Comunista Italiano. Il teatro ha ottenuto enorme successo, con recite in molte città dei principali drammi. Piccoli Borghesi è stato messo in scena insieme a Bassifondi fino a pochi decenni fa. Eleonora Duse ha recitato nel ruolo di Vasilissa ottenendo un enorme successo personale anche in Francia. Gli Editori Riuniti hanno pubblicato negli anni Sessanta l’intera opera in venti volumi, curata da Ignazio Ambrogio, con la partecipazione dei migliori traduttori come Agostino Villa, Bruno Carnevali, Clara Coisson, Rossana Platone. Poi c’è stato un lungo periodo di silenzio. Qualche traduzione sporadica, non sempre filologicamente apprezzabile. Soltanto negli ultimi tempi si è aperta una nuova stagione di attenzione e di studio, rompendo la cortina di ostilità e di accuse di stalinismo e di letteratura d’occasione. Come si fa ad oscurare un narratore del livello di Maksim Gor’kij a causa di pregiudizi e di opportunismi di natura ideologica!…

La studiosa Paola Cioni, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di San Pietroburgo, ha recentemente parlato della necessità di una rivisitazione del giudizio proprio su questo punto, attribuendo a Gor’kij qualità di modernismo che gli sono state negate ingiustamente dalla critica. A suo tempo György Lukácz aveva parlato del realismo di Gor’kij ascrivendolo a quel «kluge Hertz» che aveva fatto intendere Lev Tolstoj in occasione di un incontro con lo scrittore in Crimea alla fine dell’Ottocento.

Lo scrittore era tuttavia sempre più ammalato e finiva per spegnersi nell’aprile del 1936. I funerali si trasformarono in una grande manifestazione politica. Le ceneri erano destinate al cimitero Novodeviči, ma furono tumulate sulle mura del Cremlino, accanto al mausoleo di Lenin, dove ancora si trovano. La memoria di Maksim Gor’kij è stata alimentata dalle nipoti Marfa e Darija, fino alla creazione del Museo a Mosca che ne custodisce l’archivio e i cimeli.

Renato Capitani e il suo gruppo teatrale

L’EREDITA’

Gli oggetti lasciati agli amici capresi sono raccolti nel museo civico dell’isola. Lo scrittore voleva che l’antica Certosa diventasse sede di un museo dedicato alla storia dell’isola, ma non ha fatto in tempo a vederlo sorgere.

A Capri la permanenza dello scrittore non è stata dimenticata. Cerimonie, conferenze, premi letterari a suo nome sono ricorrenti. Sono stati condotti studi e ricerche da parte degli slavisti, pubblicati libri di memorie di chi lo ha conosciuto personalmente o da discendenti che hanno raccolto la testimonianza dei familiari. Da ultimo il film L’altra rivoluzione dedicato alla presenza di Gor’kij a Capri e ai rapporti con Vladimir Lenin.

E proprio Lenin la figura storica che resta indissolubilmente legata al nome di Gor’kij a Capri. Nel 1970, in occasione della nascita del capo dei bolscevichi, il grande scultore Giacomo Manzù gli ha dedicato un monumento, collocato nei giardini di Tiberio.

La città di Sorrento ha recentemente svolto, in collaborazione con alcune istituzioni russe, importanti iniziative. Un monumento è stato dedicato allo scrittore, opera dello scultore Aleksandr Rukavišnikov. Pochi sanno che a Sorrento nel 1831 è morto il pittore Sil’vestr Fëdosevič Ščedrin, autore di bellissime marine e protagonista della scuola di Posillipo con Anton van Pitloo.

Che dire del cinema! La madre, realizzato da Vsevolod Pudovkin nel 1926, è considerato patrimonio del cinema mondiale. Nel 1968 il musicista Tichon Krennikov ha aggiunto la colonna sonora, alquanto enfatica a dire il vero, nonostante il richiamo allo stile di Prokof’ev e Šostakovič. Il regista Mark Donskoj alla fine degli anni Trenta, ha girato la trilogia ispirata alla biografia dello scrittore, fornendo un affresco efficace della Russia di fine Ottocento. Anche Akira Kurosawa ha voluto cimentarsi con il teatro di Gor’kij, accanto all’impegno di portare sullo schermo alcune tragedie di William Shakespeare. Prima ancora era stato Bertolt Brecht a mettere in scena La madre.

Per finire, cosa resta di Maksim Gor’kij? Si tratta di un vero titano della narrativa mondiale. Oltre 15.000 pagine di racconti, novelle, romanzi, articoli, testi teatrali, poesia, tra le quali attingere autentiche perle della letteratura russa a cavallo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Il tempo continuerà la sua implacabile opera di selezione e di giudizio critico, ma le iniziative di studio di questi ultimi anni porteranno nuova verità.

L’incontro di oggi, articolato su differenti discipline per dare conto della complessità e della pienezza della personalità dello scrittore, sicuramente porterà un utile importante contributo in questa direzione.

Ringrazio la Biblioteca Vallicelliana e la sua direttrice Paola Paesano, i relatori impegnati nelle differenti discipline, gli attori diretti da Renato Capitani per l’impegno profuso nel trasmettere il senso della parola e della scena nella narrativa di Gor’kij. Si tratta un accenno brevissimo, estratto dall’immenso Volga che scorre sotto la sua penna, «mat’-reka – široka i gluboka» come recita il canto popolare «Ej! Uchniem! / Ešče razik, ešče raz…», universalmente noto come Canto dei battellieri del Volga, ma probabilmente sufficiente a farci godere la gioia della grande letteratura.

Infine, ringrazio il Consiglio Regionale del Lazio, la Città di Capri e il Comune di Sorrento per avere patrocinato questo incontro. Vuol dire che Maksim Gor’kij, «umnee serdce», cuore intelligente, come lo aveva definito Lev Tolstoj, non è stato dimenticato là dove è passato e ha lasciato traccia della sua grande personalità.

Grazie.

INCONTRO CULTURALE ROMA – BIBLIOTECA VALLICELLIANA,
Piazza della Chiesa Nuova 18 Mercoledì 12 dicembre 2018, ore 15,30 – 19,30


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Lenin, Gor’kij e il movimento operaio e socialista italiano

Armida Corridori

SERGEJ DRONOV, Maksim Gor’kij a Sorrento, 2018, olio su tela, 70 x 50

PREMESSA

L’emigrazione russa in Italia, importante come numero e notevole per il rilievo politico, ideologico e culturale dei suoi maggiori esponenti, rappresenta un capitolo di grande interesse nella storia del socialismo russo e italiano e del movimento operaio europeo.

I contatti fra gli esponenti della vita politica e culturale russa con l’Italia sono presenti fin dal secolo 17°,  proseguono dalla seconda metà del secolo 19°fino  alla Rivoluzione d’Ottobre ma cambiano di segno, legati alla nuova realtà russa che si va delineando.

A partire dagli anni intorno al 1848, il ceto nobiliare non è più il solo ad essere presente sul suolo italiano, a contatto con una società impegnata nello sforzo risorgimentale. La presenza dei russi in Italia riflette le divisioni e i contrasti presenti nella società russa, da una parte quella degli aristocratici, dei diplomatici, della burocrazia, dell’esercito ecc.; dall’altra la Russia sotterranea e perseguitata.

Verso il Piemonte andarono le simpatie di capi e gregari della prima emigrazione populista russa che si colloca fra Nizza, Genova e Torino e dove torneranno a concentrarsi dopo la rivoluzione del 1905.

Le testimonianze e gli scritti di questi esuli trovano eco e consensi sulla stampa subalpina presso Mazzini, Correnti, Medici e Pisacane. Si può parlare di un vero e proprio ciclo storico nell’arco di circa tre generazioni, tenendo conto anche delle attese riposte da tanti populisti in Mazzini, Garibaldi e negli anarchici.

E’ naturale per i russi esuli sollecitare e trovare solidarietà presso i socialisti italiani che stanno iniziando a costruire una struttura organizzativa e cercano collegamenti con gli altri movimenti europei più maturi.

Come sostiene F. Venturi in Il populismo russo,«i russi avevano bisogno di vedere riflessi i propri problemi nell’Europa per poterli guardare nel loro insieme in tutta la loro importanza».

»L’Italia mi à regalato i nuovi occhi,  con quali io veggo la adesso Russia meglio che prima», confiderà Alekseij A. Zolotarev a Umberto Zanotti Bianco nel giugno del 1914, appena rientrato in patria. Anche i socialisti italiani seguono con grande interesse e partecipazione le vicende russe: “ l’Avanti!” ha in Vasili Suchomlin un collaboratore russo fisso che informa i lettori sulle questioni russe.

In verità la presenza di tanti esuli russi si nota anche nel mondo dell’arte dove spicca la presenza di Maksim Gor’kij intorno al quale si raccolgono i migliori spiriti dell’intelligencija russa in esilio.

Infine si può affermare senza possibilità di smentita che l’Italia è stata per tutti una seconda patria e per questo la loro vicenda può essere considerata parte integrante della storia d’Italia.

Intorno agli anni della rivoluzione del 1905, si era raccolta a Napoli una comunità di esuli formata in particolare da studenti giunti dalla Russia per seguire i corsi all’Università, dopo che per discriminazione razziale in quanto ebrei o per ragioni politiche, era stato loro vietato di proseguire gli studi. In generale gli studenti anti zaristi venivano sistematicamente espulsi dalle università dell’impero russo.

Umberto Zanotti Bianco

MAKSIM GOR’KIJ A NAPOLI

Nel 1906, costretto all’esilio per sfuggire alla polizia zarista, Aleksej Maksimovic Peskov, da tutti conosciuto con il nome d’arte di Maksim Gor’kij, in italiano «Massimo l’Amaro» dopo essere stato in America, viene in Italia. Al suo arrivo a Napoli è accolto con grande entusiasmo dai giovani studenti della “Corda Fratres”, l’associazione universitaria internazionale fondata a Torino da Efisio Giglio nel 1898 che, secondo l’ideale mazziniano di fratellanza fra i popoli, intendeva unire gli studenti di tutto il mondo. Tra le cerimonie e le manifestazioni di accoglienza, un posto particolare nel quadro generale dei consensi, occupa il comizio “Pro Russia rivoluzionaria”, organizzato dal Partito socialista italiano e dalle leghe operaie di Napoli nell’atrio del chiostro di S. Lorenzo il 28 ottobre 1906.

Gor’kij si era intrattenuto con L. M. Bottazzi corrispondente dell'”Avanti!” per mandare un saluto “fraterno” a tutti i socialisti italiani. Pur ammettendo di conoscere poco l’Italia contemporanea,  Gor’kij riconosce che il proletariato italiano ha compreso l’ora terribile vissuta dalla  Russia dopo la tragica domenica di sangue del 9 gennaio 1905 e la fallita rivolta che ne è seguita, provocando persecuzioni infinite da parte dello zar Nicola II.

Nel complesso, l’accoglienza “cordiale e festosa” ricevuta convincono lo scrittore esule a rimanere in Italia per un soggiorno previsto all’inizio solo per due o tre mesi che si prolungherà invece per oltre sette anni, in gran parte trascorsi a Capri.

Gor’kij espresse poi la sua riconoscenza con un messaggio sentito e commosso Agli italiani, pubblicato sull'”Avanti!” il 9 gennaio 1907.

In precedenza con una più vasta eco internazionale aveva pubblicato il messaggio su “Krasnoe Znamja”( Bandiera rossa) del 27 novembre (10 dicembre)1906 col titoloK Ital’jantzam” (Agli Italiani).

Questa situazione è evidente, era seguita con preoccupazione crescente dalla rappresentanza diplomatica in Italia che vedeva formarsi intorno allo scrittore e ad Angelica Balabanoff, altra figura importante della lotta rivoluzionaria,” il centro principale dell’agitazione” contro il governo zarista.

Giovanni Giolitti, allora Presidente del Consiglio dei Ministri,  era deciso ad evitare che le agitazioni anti zariste traessero alimento dalla presenza di Gor’kij in Italia, ma la consistente richiesta di solidarietà verso lo scrittore da parte dei socialisti in Parlamento, lo portarono a non prendere alcun provvedimento.

GOR’KIJ A CAPRI

Di conseguenza, lo scrittore decide di rimanere in Italia il più a lungo possibile e fisserà la residenza a Capri. Dopo un breve soggiorno all’hotel Quisisana,  residenze di nobili e artisti di ogni parte del mondo, non idonea per lo stile di vita del vagabondo del Volga, a partire dal 4 novembre 1906, prese in affitto villa Settanni o villa Blaesus, nella parte centrale dell’isola; in seguito per poter ospitare gli amici russi di passaggio, si trasferirà a villa Ercolano o villa Behring e infine a villa Serena, chiamata successivamente villa Pierina. Gor’kij non parlava italiano e decisivo fu il ruolo della sua compagna, la bellissima attrice

Marija Fëdorovna Andreeva, attenta a  circondare il grande scrittore ammalato, di ogni comfort, vigilando su di lui con garbo e cura quasi materna.

E’ da sottolineare che Gor’kij era in quel momento non solo lo scrittore russo più prestigioso che avesse scelto la via dell’esilio ma anche editore capace . Aveva una casa editrice e una rivista “Znanije”( La conoscenza), aveva legami a Berlino con l’editore Ladyznikov, di conseguenza Capri diventa il punto d’incontro non solo dei rappresentanti dell’intelligencija russa in esilio, ma anche per coloro che erano rimasti in patria.

Va ricordato che negli anni dopo il 1870 “internazionalisti” russi si erano spinti nel Napoletano, uomini affiliati al Comitato del Giura, le cui delibere, opuscoli e manifesti arrivavano a Napoli tramite gli anarchici Carlo Cafiero ed Errico Malatesta ma anche grazie ad socialista Arturo Labriola, divenuto grande amico di Gor’kij e principale sostenitore della sua battaglia politica.

Questa tradizione continuerà e si svilupperà con l’afflusso della diaspora rivoluzionaria del 1905. Non potendo citarli tutti gli esuli politici e gli artisti che furono ospitati da Gor’kij, vanno ricordato Fëdor .I. Šaljapin, famoso in tutto il mondo per la sua voce di basso e che tiene concerti a Capri, N. E.Burenin e I.N.Ladysnikov, editore e scrittore di un certo talento, l’industriale e mecenate Savva .I. Mamontov.

Nel febbraio del 1911 giunse Konstantin Stanislavskij, uno dei principali protagonisti del rinnovamento del teatro moderno.

Oltre agli artisti,  molto più significativa è la presenza di vari esponenti politici del marxismo russo, tra gli altri Anatolij .V. Lunačarskij, storico e critico della letteratura e futuro commissario all’istruzione con Lenin, il filosofo e scienziato Aleksandr Bogdanov.

Lenin

Plechanov

Inoltre furono in visita e ospiti alcuni fra i maggiori esponenti del partito come Lenin e Georgij V. Plechanov.

Tutta questa situazione determina anche la complessità della figura storica di Gor’kij, facendone un’intellettuale sui generis in quanto riconosce l’impegno politico e sociale come un proprio dovere morale. Nello stesso tempo egli stesso riconosce di essere troppo poco ideologizzato per potersi definire un uomo politico e troppo impegnato per essere definito solo un intellettuale. Da qui le incomprensioni con Lenin e successivamente con Stalin e tanta parte della cultura ufficiale sovietica, a partire da Vladimir Majakovskij.

Vladimir Il’ič Lenin soggiornò a Capri due volte, nel 1908 e nel 1910. I due si erano incontrati una prima volta a Pietroburgo nel 1903 e successivamente si era ritrovati nel corso di riunioni dell’Internazionale socialista a Londra, a Parigi e in altre città. Il rapporto di simpatia e di amicizia era proseguito attraverso la corrispondenza e si era andato consolidando. Gor’kij trovò naturale invitare il capo della frazione bolscevica del Partito per tentare di risolvere importanti questioni dottrinarie e organizzative. Lenin accettò l’invito, pur sapendo che sarebbe stato difficile giungere ad un accordo con Bogdanov, il principale protagonista dell’opposizione alla linea leninista. Dunque, l’intento non è quello di trascorrere una vacanza e far visita a un amico, quanto quello di evitare una scissione all’interno del Partito operaio socialdemocratico russo. Come già detto, in quegli anni intorno a Gor’kij si ritrovano i cosiddetti “bolscevichi di sinistra” tra cui A. Bogdanov sostenitore di una concezione antidogmatica del marxismo e contrario a un partito guidato da intellettuali e A. Lunačarskij che a sua volta riteneva che il marxismo si dovesse trasformare in una religione laica.

Bogdanov, Gor’kij, e Lunačarskij ritengono inoltre che il proletariato debba avere una propria intelligencija, capace di autodeterminarsi per non dipendere da intellettuali di origine borghese.

Per mettere in atto le loro idee, i bolscevichi di sinistra ritengono necessario creare una scuola di partito per operai con lo scopo di formare i futuri dirigenti.

Lenin al contrario, propone una struttura di partito molto centralizzata e si oppone allo spontaneismo della base, in questo forte della fallita esperienza del 1905. Intende portare Gor’kij, a cui rimprovera alcuni “errori politici”, dalla sua parte ma non ci riesce.

Lenin lascia Capri il 30 aprile 1906 e il 1 maggio prende parte alla grande manifestazione operaia a Ginevra. Tuttavia, i rapporti con Gor’kij restano saldi sul piano personale.

I lavori della Scuola per operai iniziano nell’agosto 1909 e il merito dell’organizzazione pratica è di Michail Vilonov, un operaio degli Urali che arriva in Italia nel gennaio di quell’anno.

Gor’kij mette a disposizione la sua villa a Capri e gran parte dei mezzi finanziari necessari e insieme a Vilonov stende l’appello alle sezioni russe di partito per ottenere il riconoscimento della Scuola e organizzare il complesso viaggio degli allievi dalla Russia.

Lenin continua la sua battaglia contro i capresi e apre a sua volta una scuola a Parigi, riuscendo cosi a dividere i partecipanti. Il 18 dicembre 1909, l’esperienza della Scuola di Capri si chiuderà definitivamente e gli operai lasceranno l’isola.

Questa vicenda dimostra come lo sguardo degli esuli fosse rivolto sempre alla Russia lontana, ai suoi problemi, ai modi e ai tempi per accelerare il processo rivoluzionario e avvicinare il momento del ritorno in patria.

A Capri arrivavano anche gli agenti della polizia politica zarista, la temibile Ochrana, con il compito di sorvegliare gli esuli, almeno quelli più caratterizzati politicamente.

Tra gli italiani che ebbero contatti con la colonia dei russi a Capri e con Go’kij, non si può non ricordare Umberto Zanotti Bianco, esponente di quell’aristocrazia intellettuale e impegnata sul piano civile che contrassegnò gli inizi del XIX secolo, insieme tra gli altri a Gaetano Salvemini, Luigi Einaudi, apostolo laico, mazziniano e nello stesso tempo erede del cattolicesimo liberale.

Il primo contatto di Zanotti Bianco con i russi emigrati e con Gor’kij avvenne nel gennaio del 1909 a Messina sui luoghi del terremoto che aveva colpito la Calabria e la Sicilia l’anno precedente, alla fine del 1908. Il primo aiuto che quelle popolazioni avevano ricevuto era stato portato dai marinai della flotta russa che navigava nel mar Tirreno, e Gor’kij aveva scritto un articolo che era servito a suscitare l’interesse in Europa a favore di quelle popolazioni.

A questo punto si precisa l’impegno meridionalistico di Zanotti Bianco con l’obiettivo di elevazione sociale, economica e culturale delle plebi del Mezzogiorno d’Italia, utilizzando le migliori energie intellettuali, economiche e culturali del paese. A questo impegno partecipò anche Gor’kij sottoscrivendo parte dei diritti d’autore a favore degli asili per i bambini della Calabria.

Il tema dei rapporti tra gli intellettuali italiani di formazione liberale e i rivoluzionari russi presenti in Italia, a cominciare dai capresi, merita un approfondimento. Personalità come Leopoldo Franchetti, Pasquale Villari,  Sidney Sonnino e altri furono impegnati a costituire l’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, presidente onorario Pasquale Villari. In collegamento con la Federazione delle biblioteche popolari di Milano, venne avviata poi la costituzione di biblioteche con libri di contenuto professionale, destinati ai  contadini, agli operai e artigiani, ma anche testi di contenuto culturale più alto destinati a coloro con un grado d’istruzione più elevato.

Fra le energie migliori da coinvolgere in questa operazione vi furono anche i russi di Capri e Zanotti Bianco ebbe l’idea di far sorgere una biblioteca italo-russa, che fosse espressione dell’incontro fra gli intellettuali russi emigrati e la cultura italiana.

Gor’kij diede tutto il suo appoggio e la realizzazione di questa iniziativa si deve anche a lui. La biblioteca via via prende corpo anche per il contributo organizzativo di Aleksej Alekseevič Zolotarev e Noè Ljubarskij e inizia a funzionare dalla metà di aprile 1913 affiliata alla Federazione delle biblioteche popolari.

Nell’ambito di un confronto “fra coscienza russa ed europea” come scrive Zolotarev, vengono avanzate proposte di traduzione di testi dal russo in italiano e viceversa. Alcuni degli intellettuali ospiti di Gor’kij appartengono all’ala populista come Gleb Ivanovic Uspenskij, legati al mondo contadino russo, esaltato nell’opera Vlast’ zemli ( La potenza della terra) del 1882 ).

E’ una Russia agraria idealizzata rispetto a un Occidente militarista o dove l’uomo è angariato e condizionato dall’apparato industriale.

L’Europa è ormai alle soglie della Prima guerra mondiale, anche se ancora non c’è la netta percezione dell’imminente catastrofe. Lo zar Nicola II alla fine del 1913 concede l’amnistia a tutti i condannati politici e agli esuli, in occasione dei 300 anni dell’ascesa al potere della dinastia Romanov. Per Gor’kij e molti altri intellettuali e rivoluzionari è tempo di tornare in patria, dove la situazione è sempre molto difficile, a causa della crisi economica e delle continue manifestazioni di protesta, represse nel sangue.

La guerra scoppierà alla fine di luglio del 1914. Molti di loro, animati da ideali pacifisti e umanitari, considerano  la guerra una grave sciagura personale, oltre che una catastrofe sul piano politico e umanitario. Si oppongono con ogni mezzo, ma gli avvenimenti precipitano e l’Europa e poi il mondo vengono inghiottiti nel gorgo della tragedia.

Tuttavia, il legame affettivo fra Gor’kij e Zanotti Bianco non si spezza, come non si s’interrompe quello di tanti altri i russi tornati in patria con l’Italia. Il ricordo delle città e dei piccoli centri marini e soprattutto di Capri continuerà a vivere nei loro cuori. Anche perché i rapporti tra i russi e la popolazione locale erano eccellenti. Proprio Gor’kij ha lasciato pagine di ricordi molto belli sugli amici capresi, a cominciare dalla famiglia Settanni. Tra questi scritti rientra anche il ricordo di Lenin a Capri e delle sue gite in barca per imparare a pescare senza la lenza.

Nonostante l’isolamento determinato dal conflitto, la corrispondenza e l’invio di pubblicazioni non si interrompe.

Quando poi dopo la rivoluzione e la guerra civile, la situazione economica della Russia precipita con la carestia , Zanotti Bianco costituì un “Comitato italiano di soccorso ai bambini russi”, presieduto da Luigi Luzzatti.

Alla fine di novembre 1922 con l’aiuto di trecento comitati fu organizzato un treno intero carico di grano, indumenti e medicinali che raggiunse la Russia meridionale dall’Ucraina e attraverso la Crimea,  portò soccorso alle popolazioni del Volga colpite da una gravissima carestia.

Furono aperte cucine, farmacie, centri di distribuzione per vestiti e pacchi mentre una colonia agricola per orfani fu aperta in Crimea, a Balaklava. Infine, tenendo presente i rapporti di sincera collaborazione stretti con gli esponenti dell’intelligencija russa emigrati in Italia, sempre per iniziativa di Zanotti Bianco, viene istituito un “Comitato italiano per i soccorsi agli intellettuali russi “.

Offerte di libri e riviste, pacchi viveri e offerte in denaro affluivano alla sede dell’Istituto per l’Europa orientale e poi mandati a destinazione. Questo comportamento dimostra come, nonostante Zanotti Bianco, di formazione liberale, considerasse le posizioni dei rivoluzionari russi di chiuso classismo, prevalesse in lui un vivo senso di fraternità umana.

I RUSSI IN ITALIA E IL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO

Tra le personalità di rilievo che emigrano in Italia, come si è visto, vi è quella di Georgij V. Plechanov, considerato il padre del marxismo russo. Esule, nel 1880 si stabili a Ginevra in Svizzera e darà vita alla prima organizzazione marxista russa, chiamata “Emancipazione del lavoro” e accettata dalla Internazionale socialista.

Quando nel 1891 Turati e Anna Kuliscioff fondarono a Milano la “Critica sociale”, la firma di Plechanov fu presente fin dai primi numeri. I contatti e la collaborazione continuarono per il tramite della Kuliscioff e di Vera Zasulic, figura di grande rilievo nell’emigrazione russa. In particolare nel 1894 la rivista ospita una serie di articoli con il titolo Socialismo e anarchismo, nei quali viene presentata la filosofia della dottrina socialista che Plechanov riproporrà unitariamente negli scritti La tattica rivoluzionaria, Forza e violenza, Anarchismo e socialismo, tradotti e pubblicati nel 1906 a Pietroburgo.

Gli anni a cavallo tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, sono caratterizzati da un intenso dibattito politico, sia in Italia che in Europa, intorno al tema della violenza praticata dalle organizzazioni di Narodnaja Volja ( I popolari di allora) e alla cosiddetta “crisi” del marxismo, da cui nascerà il Partito operaio socialdemocratico russo proprio per superare la vuota discussione tra gruppi ristretti e porre alla testa del movimento un vero capo politico, riconosciuto e temuto. Nel romanzo La vita di Klim Samgin proprio Gor’kij presenterà una memorabile ricostruzione del dibattito politico in Russia e all’estero sui temi della rivoluzione del popolo e non per l popolo, con alla testa la classe operaia e non incontrollate forze sociali. Inoltre la critica di Plechanov a Croce, il rifiuto delle posizioni del filosofo russo da parte di Antonio Labriola in Contro Plechanov,, la posizione di Georges Sorel che distingue tra forza e violenza nelle Reflèctions sur la violence, del 1908, accrescono l’importanza del rivoluzionario russo nelle file dell’Internazionale.

I contatti di Plechanov con i socialisti italiani furono poi resi più facili da circostanze che giustificheranno il suo lungo soggiorno in Italia dal 1908 a Sanremo, dovuto alle sue precarie condizioni di salute. Dopo il Congresso di Londra del Partito operaio socialdemocratico russo del 1903, che provocò com’è noto, la divisione tra bolscevichi e menscevichi, i rapporti con Lenin divennero tesi, ma Plechanov restò in ottimi rapporti con Gor’kij, tanto da recarsi a Capri molto spesso.

Anche dopo la rivoluzione del 1905-06, il filosofo russo continua a partecipare al dibattito socialista italiano e a mantenere i rapporti con Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Angelika Balabanova, Claudio Treves, Enrico Ferri e altri dirigenti.

Anch’egli guarda all’Italia e ai problemi del socialismo italiano per capire meglio i problemi della Russia e indicare ai “fratelli russi” alcuni indirizzi “molto istruttivi”.

Il Congresso del Partito socialista italiano, tenutosi a Milano dal 21 al 25 ottobre 1910, offre a Plechanov l’occasione per un esame e un confronto sui problemi del socialismo comuni all’Italia e alla Russia. Nel Congresso esplode il contrasto fra l’ala riformista facente capo a Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi da un lato e la corrente più intransigente e “rivoluzionaria” di Arturo Labriola, Benito Mussolini, Giacinto Serrati dall’altro.

In particolare Bissolati aveva attaccato in modo deciso i “rivoluzionari intransigenti”, rinfacciando loro di non aver ottenuto “nessun vantaggio” per la classe operaia quando avevano governato il partito difendendo il “ministerialismo”.

Questa posizione darà occasione a Plechanov per il suo intervento sull’autorevole”Mysl'”(Il pensiero) di Mosca, rivista legale dei socialdemocratici russi, nel 1910, per precisare le condizioni per la lotta rivoluzionaria, in un momento di grandi contrasti per la formazione della Duma. Egli respinge la conclusione implicita nell’impostazione di Bissolati, che “ogni partito dei lavoratori sia anche socialista”, perché questo avrebbe come conseguenza dare la preferenza a un “tipo organizzativo” simile al partito laburista inglese.

Con lo sguardo attento al confronto fra la Russia e l’Europa occidentale, egli incita il partito perché anche in Russia “le nuove condizioni” inducano i riformisti o “liquidatori” a schierarsi su posizioni analoghe a quelle dei revisionisti tedeschi, come di Bissolati e dei riformisti italiani.

In verità, Plechanov propone di allargare lo sguardo oltre le condizioni russe, verso l’Italia o gli Stati Uniti per poter elaborare una spiegazione del riformismo (opportunismo), analizzando il carattere generale del capitalismo contemporaneo.

Queste posizioni lo allontaneranno sempre di più da Vladimir IL’ic Lenin e avranno conseguenze nello sviluppo del dibattito successivo alla Rivoluzione d’ottobre.

Tra i testimoni più informati sul socialismo italiano bisogna ricordare anche Evgenij A. Ananin, partecipe della vita culturale italiana nel campo degli studi medievali e rinascimentali.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale pone tutti i partiti socialisti europei e le correnti russe di vario orientamento di fronte a un dilemma drammatico: rimanere fedeli all’internazionalismo socialista o abbracciare, invece, il “sacro egoismo” della patria. Come è noto i socialisti italiani si dividono in maniera drammatica,  ma anche per i socialisti russi la guerra è un ulteriore elemento di divisione e di contrasti. Lenin, a nome della corrente bolscevica, considera la guerra una guerra reazionaria, pertanto una classe rivoluzionaria si deve augurare la sconfitta del proprio governo, anzi sfruttare le difficoltà dei governi e lottare per la rivoluzione sociale.

Plechanov, al contrario, si schiera con decisione, sin dall’ottobre 1914 per una guerra contro le potenze centrali nell’interesse del proletariato russo. La guerra nell’epoca contemporanea è legata allo sviluppo del capitalismo e la Russia non ha altra alternativa che andare in aiuto alla Serbia se non vuole perdere ogni influenza nella penisola balcanica.

Tenendo conto di questa posizione è ovvio che Plechanov guardasse con molto interesse alle posizioni della corrente più estrema del socialismo italiano, quella rivoluzionaria e interventista di Benito Mussolini e del “Popolo d’Italia” al quale concederà diverse interviste.

Favorevoli alla guerra contro le potenze centrali sono lo stesso Gor’kij,  il socialista rivoluzionario Burtev, Rubanovic, l’anarchico Kropotkin. Tra coloro che sono contrari alla guerra è da annoverare Evgenij Ananin che trasferitosi a Roma nel 1916 poté seguire i contrasti fra Turati, Treves, Modigliani da un lato e il Comitato centrale del partito capeggiato da Costantino Lazzari dall’altro.

In realtà E.Ananin in quegli anni cosi drammatici, prendendo le distanze dai problemi contingenti, assumerà un abito storico che lo accompagnerà poi tutta la vita. La sua riflessione si concentrerà sulla necessità dell'”unità della cultura”, confutando la teoria delle due culture europee: l’una latina, l’altra germanica, considerate nemiche irriducibili.

Egli rivendica invece “l’unità necessaria della cultura europea e come nessuna nazione possa presentare una sua linea di evoluzione indipendente da tutte le altre”.

Due esempi sono da considerare “in cui una forza sociale abbia preso nettamente coscienza dell’internazionalità del pensiero e della cultura umana”: quello della Chiesa cattolica che” interponendosi fra le nazioni barbare come la sola forza di unificazione europea, riesce a mantenere l’internazionalità dell’opera sua”, e più tardi il socialismo internazionale.

Ananin è profondamente convinto che spetti ad esso il compito di “riedificare sui rottami delle culture nazionali , la società universale”.

Agli inizi del Novecento la Russia era il paese che Karl Kautsky, teorico della socialdemocrazia tedesca, fin dal 1902 riteneva essere “centro rivoluzionario” del mondo, a causa delle drammatiche condizioni di vita della popolazione, in particolare di quella rurale. Riteneva che esistevano concrete possibilità che il movimento rivoluzionario portasse alla rivolta. In effetti,  soltanto tre anni più tardi sarebbe esplosa la prima rivoluzione del Novecento, fallita per il suo spontaneismo, per assenza di obiettivi precisi e soprattutto per mancanza di una struttura organizzata e di un gruppo dirigente.

Come è noto, la rivoluzione venne sconfitta rapidamente perché conteneva al suo interno troppe anime contrapposte: operai, studenti, artigiani, commercianti, socialisti ma anche liberali, ovvero tutti gli strati sociali vittime dei processi di modernizzazione. Non mancavano i nazionalisti russi insieme a quelli delle nazionalità oppresse: una miscela che esploderà nella guerra civile successiva alla Rivoluzione d’ottobre.

Pesò soprattutto la passività dei contadini, anche se rivolte contro le aziende agrarie più ricche si presentarono come risposta al fallimento della riforma agraria di Pëtr Stolypin,  e questo fece comprendere all’opposizione socialista, che era indispensabile coinvolgere i contadini per poter realizzare il cambiamento della società.

ESULI RUSSI IN LIGURIA

Negli anni fra la rivoluzione del 1905 e quella del 1917, una numerosa colonia di esuli russi scampati alla repressione scelse la Riviera ligure come luogo di soggiorno. Appartenevano a una delle più attive e combattive formazioni politiche russe, quella dei socialisti rivoluzionari menscevichi. La presenza del maggior esponente del movimento, Viktor M. Černov preoccupava non poco le autorità di pubblica sicurezza allertate dalla polizia zarista. L’interesse degli esponenti di questa formazione verso l’Italia risaliva agli ultimi anni dell”800, si concentrava sulla possibilità che la rivoluzione potesse partire dalle campagne, pertanto avevano seguito con vivo interesse il movimento dei Fasci siciliani.

In Sicilia negli anni 1891-94 era esploso un movimento di ispirazione democratico-socialista che per la prima volta nella storia dell’isola vedeva lottare insieme, contro lo sfruttamento, contadini, operai e minatori delle zolfare.

In particolare, nell’estate del 1893, in vista del rinnovo dei contratti di mezzadria e d’affitto, il movimento aveva fissato precise richieste al padronato e attivato una campagna di scioperi. Il governo Crispi rispose con una repressione feroce, vi furono almeno 90 morti, fu imposto con le armi l’ordine sociale voluto dalla classe padronale.

Vengono seguite con altrettanto interesse le prime lotte delle leghe contadine nella Valle padana. Secondo V. Černov, anche in Russia , la prima fase rivoluzionaria doveva essere “agraria” e colpire alla radice l’istituto della proprietà privata. Consapevole dell’immaturità e dell’incapacità delle masse lavoratrici in fatto di autogoverno economico, era necessario prevedere un lungo periodo di transizione di “laborismo”.

L’obiettivo ultimo doveva essere l’eliminazione dell’agricoltura privata fondata sul diritto romano in cui tutti gli individui avessero uguale diritto a lavorare la terra nazionalizzata.

Černov, negli articoli raccolti poi in Zemlja i pravo (Terra e diritto), sosteneva inoltre che i socialisti rivoluzionari dovevano puntare sulla creazione della comune agraria o obščina, da cui sarebbe scaturito lo sviluppo di un ordinamento socialista attraverso le cooperative e altri strumenti di collaborazione sociale.

Černov conduce una analisi approfondita delle condizioni dell’Italia, che dipinge a tinte fosche, rifiutando di riconoscere i progressi del paese e quindi anche della classe lavoratrice che stanno avvenendo attraverso quella che R0sario Romeo definisce come “La rivoluzione industriale dell’età giolittiana”.

Dal momento che egli ritiene come in Italia resti sempre viva e presente quella che egli chiama “la forza e la resistenza dei resti del sistema feudale-latifondistico” e che la borghesia è una forza che non lotta contro i principi feudali e burocratici. Questa situazione, nel suo complesso, condiziona secondo lui lo stesso sviluppo del movimento socialista in Italia.

Nella ricerca di analogie con la “realtà russa”, Černov esprime un giudizio molto severo sulla borghesia russa, che definisce classe cortigiana, colpevole di rimanere fedele alla triade Dio-trono-patria, che si fa proteggere “sotto le ali dell’assolutismo” contro le insidie della classe operaia. Di conseguenza ritiene semplificatrice la “profezia” di Plechanov, secondo il quale la borghesia russa si sarebbe trasformata in senso liberale occidentale.

In realtà, indipendentemente dalle particolarità locali, nella borghesia paneuropea si sta verificando una evoluzione verso destra. Questa analisi venne pubblicata il 20 maggio 1917 sull'”Avanti!” con il titolo La guerra e la rivoluzione nel pensiero di V. Cernov.

Fra i socialisti italiani, divenne molto popolare Vsevolod Vladimirovič Lebedintzev, anche lui esule dopo la rivoluzione del 1905-06. Soggiornò a Roma dove frequentava assiduamente le riunioni dei socialisti romani alle Marmorelle , collaborando con l'”Avanti!” nome di battaglia “Cirillo”e legandosi di cordiale amicizia con Oddino Morgari, deputato socialista e poi direttore del giornale.

Nel marzo 1907 il trasferimento a Nervi, doveva servire a Lebedintzev per preparare il suo ritorno clandestino in Russia, approfittando della sua conoscenza quasi perfetta della lingua italiana, progettava di assumere il nome e l’identità di un italiano che si sarebbe trasferito a Pietroburgo come giornalista.

Il russo prese contatto con il professor Mario Calvino, direttore della cattedra ambulante di Agricoltura a Porto Maurizio, offrendogli la direzione in Russia di lavori agricoli importanti. Calvino, attirato da questa prospettiva chiese il passaporto mostrandolo poi a Lebedintzev che se ne impadronì. Ormai in viaggio verso la Russia, scrive al Morgari chiedendo una tessera di corrispondente a nome di Mario Calvino di un giornale qualunque che gli sarà inviata a Terjoki. Tutto questo si rivelò inutile, perché venne arrestato dalla polizia zarista e mandato al patibolo.

Come si vede anche dal “caso” Calvino-Lebedintzev, i rapporti più intensi, meglio vissuti sono tenuti dai socialisti rivoluzionari russi con gli esponenti della corrente di sinistra del socialismo italiano che riescono a far arrivare in Italia le loro pubblicazioni attraverso i normali canali librari, a Genova, a Napoli, Nervi, tutti centri dove è forte l’emigrazione russa.

Michail Andreevič Osorgin

Colui che si accosta alla realtà italiana con particolare capacità di penetrazione è Michail Andreevič Osorgin. Giornalista e scrittore, arrestato nel dicembre 1905 e liberato nel 1906, dopo un periodo a Helsinki, arrivò a Sori sulla Riviera ligure.

Spirito libero, indipendente, aveva trovato fra i socialisti rivoluzionari la collocazione politica a lui più congeniale, proprio per la caratteristica di questa formazione di socialisti non marxisti, poco attenta alle esigenze organizzative e alla disciplina politica.

Dall’Italia, come mezzo per vivere iniziò a collaborare con varie riviste russe e nel 1909 divenne corrispondente regolare del quotidiano di Mosca “Russkie Vedomosti” (Le notizie russe) e avviò la collaborazione alla rivista più importante di problemi contemporanei “Vestnik Evropy” (Il Messaggero dell’Europa) di Pietroburgo.

I suoi primi articoli su “Russkie Vedomosti” sono dedicati alle lotte agrarie in Italia  nella Pianura padana e in Romagna: 3 maggio, 13 e 26 giugno 1908, 28 giugno 1910. Erano queste le zone sottoposte a grandi opere di bonifica e di trasformazione agraria nel primo ventennio del secolo e rappresentano perciò il punto focale delle lotte.

E’ questa la realtà sociale che sta sotto gli occhi di Michail Osorgin e quello che maggiormente lo  colpisce è la campagna di solidarietà che si sviluppa verso i braccianti in lotta, da parte degli operai delle fabbriche e dai braccianti delle altre province che devolvono una certa parte dei loro salari a sostegno degli scioperanti.

Ma ciò che colpisce ancora di più Osorgin è che i bambini degli scioperanti sono condotti nei centri industriali dove vengono alloggiati presso le famiglie più agiate o sono mantenuti a spese dell’organizzazione.

Alla solidarietà verso e tra i braccianti fa riscontro un maggiore impegno organizzativo di contrasto da parte dei proprietari terrieri. Osorgin non manca di mettere in risalto l’intervento dei sindacalisti rivoluzionari come Alceste De Ambris. Ebbe poi il sopravvento la corrente riformista che portò avanti le trattative con le autorità locali e con il governo centrale e di conseguenza venne riaperta la borsa del lavoro.

Osorgin informa i lettori russi di tutti gli aspetti della realtà italiana. a titolo di esempio,   cita un fatto veramente nuovo, i primi inizi in Italia di certo femminismo con l’entrata nel foro della prima donna avvocato; i primi inizi del Futurismo, l’impresa di Tripoli ecc.

Dedicherà pagine commosse alla componente umanitaria e romantica del socialismo italiano per la morte di Edmondo De Amicis e Giovanni Pascoli sul quale mostra di condividere il giudizio di Benedetto Croce. Di notevole rilievo sono altresì gli articoli dedicati alla politica di Giolitti, al problema della neutralità e poi all’entrata in guerra dell’Italia e all’atteggiamento dei socialisti di fronte al conflitto.

L’autore che dall’Italia guarda alle correnti socialiste in Russia, anch’esse divise sul problema della guerra, non si fa distrarre dalle frasi fatte della propaganda ufficiale e osserva come il Partito socialista italiano abbia coordinato le sue attività con quelle delle altre organizzazioni sociali, per cercare di alleviare le conseguenze della guerra, iniziative che dovrebbero servire come esempio ai socialisti russi.

La vasta e articolata esperienza italiana troverà poi una collocazione più efficace da “Testimone della storia” sull’autorevole “Vestnik Evropy” di Pietroburgo sotto forma di “Lettere da Roma”(Pis’ma iz Rima) e nel volume Očerki sovrememoj Italii che segna il passaggio dal giornalismo alla narrativa.

Osorgin è attento al paese reale, va oltre gli stereotipi, emblematico di questo impegno è lo scritto dedicato a Contadini dell’Agro romano, nel quale il socialista rivoluzionario viene attirato dall'”andata verso il popolo” che si svolge vicino Roma ad opera di Angelo e Anna Celli, di Giovanni Cena e Sibilla Aleramo e che aveva interessato anche Gor’kij che aveva incointrato i malariologi, come venivano chiamati, proprio a Roma.

E’ un impegno di elevazione sociale, umana e culturale con la creazione delle scuole rurali e può servire come confronto in relazione ai problemi e alle situazioni presenti in Russia, dove non si sono sprigionate “energie” di cosi grande rilievo a opera di elementi della classe intellettuale.

Quella di Osorgin è dunque una esortazione affinché si configuri di nuovo l’ondata populista, che riproposta dall’Italia, in un libro stampato a Mosca, non poteva non avere il significato di un intervento dall’esterno a favore dei contadini russi, fuori da qualsiasi schema di partito.

LENIN E IL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO

Filippo Turati

Nel solco del confronto anche aspro che anima i Partiti socialisti europei, si inserisce il giudizio di Lenin sul dibattito interno al Partito socialista italiano, ma anche la ricerca di sostegni organizzativi alla lotta dei bolscevichi.

Com’è noto, Lenin riteneva che Filippo Turati come Plechanov confondesse la rivoluzione democratica e quella socialista, ma a testimonianza dei contatti con i socialisti italiani che si fanno più stretti, va ricordato che dovendo riorganizzare la rivista “Proletarij” e imponendosi il problema di come far giungere il giornale in Russia, in modo clandestino ma continuativo da Ginevra, Lenin non rinuncia a cercare il sostegno dei socialisti italiani. L’itinerario più semplice per la Russia passava per l’Italia via Genova. Lenin si rivolse a Maksim Gor’kij a Capri, perché trovasse il modo di organizzare la spedizione con la collaborazione dei socialisti italiani e suggeriva di far capo al segretario della Federazione dei marittimi di Genova.

Dopo alcune difficoltà burocratiche e grazie all’intervento di Gor’kij su Oddino Morgari e di questi sul Presidente del consiglio Giolitti, la spedizione del giornale in Russia via Genova-Odessa prese il via e continuò regolarmente.

Lenin ebbe modo di apprezzare la presa di posizione dei socialisti italiani, ostili alla visita dello zar “L’impiccatore” in Italia e seguì inoltre con particolare interesse il tredicesimo Congresso del Partito socialista italiano, tenutosi a Reggio Emilia il 7 luglio 1912 che vide l’espulsione di Bissolati e dei riformisti di destra.

Sulla “Pravda” del 15 luglio 1912 scrive che “il partito del proletariato socialista italiano, allontanando da sé i sindacalisti e i riformisti di destra, ha preso la strada giusta”.

Da quel momento una sorta di consenso a distanza si stabilì fra Lenin e Mussolini che ha fatto trionfare la sua linea all’interno del Partito socialista. I due si erano incontrati il 18 marzo 1904 al comizio di Zurigo per commemorare la Comune di Parigi; pochi mesi più tardi si trovarono d’accordo in occasione delle guerre balcaniche.

Nei Balcani, era ormai evidente la crisi dell’Impero ottomano, il Congresso di Berlino del 1878, aveva sancito l’indipendenza di Serbia, Bulgaria e Romania, affidando in “amministrazione temporanea” la Bosnia-Erzegovina all’Impero austro-ungarico che nel 1908 procedette alla sua annessione. Da qui la tensione con la Serbia che, con l’appoggio della Russia, aspirava a unificare tutta l’area degli slavi del Sud.

Nell’ottobre 1912, Lenin pubblica un volantino, Appello a tutti i cittadini della Russia, in cui esalta “la repubblica federativa dei Balcani” e condivide la posizione dei socialisti italiani “nel difendere l’autodecisione e la completa libertà dei popoli per spianare la strada alla più ampia lotta di classe per il socialismo”.

A lui fa eco Mussolini, appena nominato direttore dell'”Avanti!”, il 10 novembre 1912 con l’articolo intitolato Rinascita slava, in cui si afferma “Niente intervento europeo: il Balcano ai Balcanici!”

Il colpo di pistola di Sarajevo rappresenta la svolta drammatica per l’Europa e la Russia, oltre che per l Medio oriente. Ciascuno prende decisioni terribili e i rapporti umani non hanno più valore.

Nell’aprile 1920 e nell’appendice del 12 maggio successivo, Lenin scrisse L’estremismo, malattia infantile del comunismo, dove a distanza di tre anni dalla conquista del potere politico da parte del proletariato in Russia, analizza la ricaduta a livello internazionale e sui Partiti socialisti europei della rivoluzione russa.

Questo scritto di Lenin, compare nel momento storico, in cui tra la fine della Grande Guerra e l’esempio della Russia, si va liberando in Europa un’ondata straordinaria di energie, speranze e lotte popolari, dalle quali nascono importanti conquiste sindacali, come la giornata lavorativa di 8 ore a parità di retribuzione, ma anche prospettive più radicali, volte alla ridefinizione dei rapporti di potere nelle fabbriche e nello Stato stesso.

I consigli operai che si formano sul modello dei soviet, oltre a contendere ai sindacati tradizionali la rappresentanza degli operai, rappresentano anche forme embrionali della sperata società socialista europea.

Nei confronti del Partito socialista italiano, il giudizio di Lenin prende spunto da un’intervista a Filippo Turati che il corrispondente romano del The Manchester Guardian pubblica nel numero del 12 marzo 1920.

Turati ritiene che in Italia non sia possibile la rivoluzione e che i massimalisti stiano giocando col fuoco delle teorie sovietiche, soltanto per mantenere le masse in uno stato di tensione e di eccitamento. Coloro che le adoperano per abbagliare il proletariato, sono costretti a condurre una lotta quotidiana per conquistare qualche miglioramento economico, spesso insignificante, al fine di allontanare il momento in cui le classi lavoratrici perderanno le loro illusioni e la fede nei loro miti preferiti.

Turati lamenta che il lungo periodo di scioperi che in quel momento stanno coinvolgendo quasi tutte le categorie di lavoratori, il cosiddetto biennio rosso, abbiano reso ancora più grave la situazione del Paese, già difficile di per sé, e che la classe operaia dovrebbe imporsi quella disciplina del lavoro che sola può ristabilire l’ordine e la prosperità.

Lenin considera il discorso di Turati di stampo menscevico: come è possibile parlare di difesa dell’ordine e della disciplina per gli operai che si trovano nella schiavitù del salario e che lavorano per il profitto dei capitalisti?

Turati, Treves, Modigliani, Dugoni e compagni sono dei social traditori e Amadeo Bordiga con i suoi amici del giornale Il Soviet hanno ragione ad esigere che il Partito socialista italiano, se vuole essere per la III Internazionale deve cacciare dalle sue fila, con ignominia, Turati e compagni e diventi finalmente un Partito comunista di nome e di fatto.

Le cose hanno preso una piega differente, come si sa. La scissione di Livorno del 1921 e la nascita del Partito Comunista d’Italia segneranno irrimediabili contrasti le cui conseguenze saranno amaramente pagate da tutti i lavoratori.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

-A. Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Biblioteca di Cultura Moderna, Laterza 1977

-E. Lo Gatto, Russi in Italia. Dal secolo XVII ad oggi, Editori Riuniti 1971

-Lenin, le opere. Editori Riuniti,1971

-G. Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, L’Unità su licenza di A. Mondadori Editore 1976-1979

– A. Bravo, A. Foa, L. Scaraffia, I nuovi fili della memoria. Uomini e donne nella storia dal 1900 a oggi,vol.3,  Editore Laterza 2003