Le emozioni di Leonardo. Una proposta metodologica di ricerca

Leonardo da Vinci, Studio di mani 1473-76

 

Leonardo da Vinci, Studi per l’Ultima Cena, 1495-96

 

Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi, bozzetto del 1481 per i frati di san Domenico a Scopeto, Uffizi

 

Premessa

Parlare di Leonardo da Vinci, su un tema tanto vasto e allo stesso tempo dispersivo, come “le emozioni”, significherebbe fare un’azione velleitaria, oppure ripetitiva e banale[1]. Il presente studio vuole porre l’attenzione soltanto su alcuni aspetti del modo di rendere le emozioni da parte del grande genio, soprattutto in veste di pittore.

Pertanto il testo fondamentale al quale farò riferimento sarà il “Trattato della pittura[2], che offre un patrimonio di “precetti” preziosi, poiché in questo testo si possono leggere le indicazioni per rendere tutti gli aspetti del mondo, e pertanto anche le emozioni, sulla base delle conoscenze scientifiche e delle scoperte derivanti dagli esperimenti, che Leonardo qui applica, appunto, alla pittura, con una metodologia empirica e tecnico-operativa — direi “procedurale”.

Il Trattato della pittura fu compilato da Francesco Melzi in base ai manoscritti di Leonardo da Vinci, sparsi in un’enorme quantità di appunti, dal carattere enciclopedico, che spaziano in tutto lo scibile: ottica, fisica, meccanica, anatomia, matematica, botanica, psicologia, neurologia, fisiologia, psicosomatica, discipline tutte che oggi definiremmo “neuroscienze”. Non sappiamo se Leonardo avesse intenzione di sistemare tali appunti sulla pittura e destinarli all’insegnamento, nell’ambito di una scuola da istituire alla corte di Ludovico il Moro, sul modello di quella neoplatonica di Lorenzo il Magnifico. Eppure il Trattato ha una struttura organica, diviso in otto parti e articolato in 935 paragrafi, in cui con un linguaggio serrato, empirico, semplice, rende teoria e pratica perfettamente complementari. Qui saranno indagati soltanto le sue considerazioni, dimostrazioni, precetti, principi, relativi alla resa delle emozioni.

Le sue stesse parole potranno guidarci alla lettura delle sue opere, dove tali emozioni sono state rese con tanta efficacia. Il presente studio, pertanto, vuole offrire un primo approccio per un metodo di studio, che risalga ad un recupero filologico dei testi di Leonardo e dei suoi contemporanei. Un altro punto di riferimento per la mia dissertazione sarà infatti la biografia che Vasari delinea del grande genio, nelle sue “Vite“. Ciò perché considero estremamente utile poter usufruire di un punto di vista contemporaneo al grande genio.

Un aspetto che va messo immediatamente in evidenza è che Leonardo si può considerare uno psicologo ante litteram, in quanto abile indagatore dell’animo umano e di tutti “i suoi moti”.

Ecco perché considero il concetto di “emozioni”, proprio per l’etimologia del termine, particolarmente calzante per rendere tale specifica abilità dello scienziato.

La resa delle emozioni è data dallo studio delle espressioni mimico-facciali e della gestualità, che Leonardo applica in quanto e- motione, fuoriuscita, dall’interno verso l’esterno. Tale moto, inteso come re-azione, è pertanto un movimento centrifugo, che da una dimensione interiore, si esprime, appunto, in una reazione fisica, che si traduce in espressioni mimico- facciali e che trovano luogo sia nel volto, sia nella gestualità delle mani e persino nella postura del corpo. Questo “movimento centrifugo”, è a sua volta una reazione ad un evento esterno, recepito e rielaborato, pertanto causato da un “movimento centripeto”.

Dunque il percorso (moto) emotivo può essere sintetizzato in questo modo: 1) un evento viene percepito dai sensi ed elaborato (moto centripeto); 2) il corpo reagisce con movimenti mimico-facciali e gestuali (moto centrifugo). Queste due fasi del “moto emotivo”, afferiscono poi ad un interscambio esterno-interno con questo iter: dall’esterno all’interno, e poi dall’interno all’esterno[3].

Lo studio delle emozioni si basa su quello della mimica e della gestualità, e usa, come mezzo tecnico, la pittura e il disegno. La pittura è considerata da Leonardo scienza, e la più utile, in quanto la “più comunicabile” ovvero, ne riconosce il carattere di universalità e di più facile fruibilità:

Quella scienza è più utile della quale il frutto è più comunicabile, e così per contrario è meno utile quella ch’è meno comunicabile. La pittura ha il suo fine comunicabile a tutte le generazioni dell’universo, perché il suo fine è subietto della virtù visiva, e non passa per l’orecchio al senso comune col medesimo modo che vi passa per il vedere[4].

In questo saggio cercherò di individuare, in opere significative dell’artista, gli elementi che egli teorizza, in modo da individuare chiavi di lettura, che ci permettano di risalire agli studi, le riflessioni, le teorizzazioni, il metodo di lavoro che a tali opere sottendono e che possano pertanto illuminarci sulla loro genesi. Questo potrà aiutarci forse ad avvicinarci alle opere di Leonardo con una consapevolezza “scientifica”, che ha costituito precisamente il suo operare, svelatoci da Leonardo stesso, in quanto nel suo Trattato egli intendeva dare suggerimenti e consigli a chi dipingeva, attività considerata da lui una scienza e, come abbiamo osservato, superiore alle altre arti, rivelandoci così i suoi “precetti”, su come operare per rendere tutto il visibile, dagli elementi atmosferici, al paesaggio, le nuvole, l’anatomia umana, i movimenti e, infine, le emozioni. Queste, specificamente, vengono analizzate da Leonardo come elementi che si evidenziano mediante i movimenti, per cui, con un linguaggio essenziale ed “operativo”, egli ci dà indicazioni su come rendere le varie emozioni, mediante le contrazioni muscolari, ovvero mediante la resa della mimica, della gestualità, delle posture.

Nel paragrafo intitolato “Precetti di pittura”, egli ci indica un prezioso “metodo “di lavoro, usato da lui stesso coi suoi “libretti”:

   Sempre il pittore che vuole aver onore delle sue opere, deve cercare la prontitudine de’suoi atti naturali fatti dagli uomini all’improvviso e nati da potente affezione de’ loro affetti, e di quelli far brevi ricordi ne’ suoi libretti, e poi a’ suoi propositi adoperarli, col far stare un uomo in quel medesimo atto, per vedere la qualità e l’aspetto delle membra che in tal atto si adoprano (II, 124, p.58)[5]. 

  1. Leonardo visto da Vasari

Giorgio Vasari, nelle sue “Vite dei pittori, scultori et architettori” nell’apprezzare la genialità di Leonardo che “dovunque l’animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva assolute”[6], individua nelle qualità mimetiche ed illusionistiche della sua pittura uno dei pregi maggiori, come dice a proposito di una caraffa di vetro con fiori in cui “oltre la meraviglia della vivezza… pareva più viva che la vivezza”[7].

La capacità di Leonardo di rendere, in particolare, le emozioni, tramite la resa “fisiognomica” della mimica, derivava da un’osservazione attenta e continua del comportamento e delle reazioni agli stimoli. Dopo tale osservazione acuta, l’artista si appartava, e sulla base di una memoria a breve, ritraeva quanto aveva visto:

         Piacevagli tanto quando egli vedeva certe teste bizzarre, o con barbe o con capegli degli uomini naturali, che arebbe seguitato uno che gli fussi piaciuto, un giorno intero; e se lo metteva talmente nella idea, che poi arrivato a casa lo disegnava come se l’avesse avuto presente[8].

Questa abitudine di Leonardo viene ribadita anche dal Lomazzo, nel suo Trattato della pittura, lib.II, cap.I:

     …che volendo una volta Leonardo fare un quadro di alcuni contadini che avessero a ridere (tutto che non lo facesse poi, ma solamente lo disegnasse), scelse certi uomini quali giudicò a suo proposito, ed avendogli fatti familiari, col mezzo di alcuni suoi amici gli fece un convito; ed egli sedendogli appresso, si pose a raccontare le più pazze e ridicole cose del mondo, che gli fece, quantunque non sapessero di che, ridere alla smascellata. Dunque egli osservando diligentissimamente tutti i loro gesti con quei detti ridicoli che facevano, impresse nella mente; e poi, dopo che furono partiti, si ritirò in camera ed ivi perfettamente li disegnò, in tal modo che non movevano meno essi a riso i riguardanti, che si avessero mosso loro le novelle di Leonardo nel convito[9].

In questo passo notiamo che Leonardo, non solo sa rappresentare le emozioni, ma sa anche suscitarle, visto che, sempre a dire del Vasari, fu”il migliore dicitore di rime all’improvviso del tempo suo”[10].

Riguardo alla capacità di Leonardo di analizzare, da acuto psicologo, tutte le sfumature e la gamma delle emozioni, è utile citare quanto osserva Vasari, a proposito della “Madonna con Bambino Sant’Anna san Giovannino”[11]:

…si vedeva nel viso di quella Nostra Donna tutto quello che di semplice e di bello può con semplicità e bellezza dare grazia a una madre di Cristo, volendo mostrare quella modestia e quella umiltà, ch’è in una vergine, contentissima d’allegrezza nel vedere la bellezza, del suo figliolo che con tenerezza sosteneva in grembo è […]non senza un ghigno d’una Sant’Anna, che colma di letizia vedeva la sua progenie terrena esser divenuta celeste[12].

In questo passo Vasari mette in evidenza l’abilità di Leonardo nel trattare il tema della “grazia” femminile, dell’affetto materno e il sentimento di partecipazione gioiosa e consapevole, dato da Sant’Anna, reso dall’espressione di un “ghigno”.

Vasari dimostra di aver intuito che Leonardo aveva saputo mettere in atto il nesso tra morfologia e fisiologia nel rendere le espressioni, come emerge dalla descrizione che ci offre della Gioconda:

   Avvengachè gli occhi avevano que’ lustri e quelle acquitrine che di continuo si veggono nel vivo, ed intorno a essi erano tutti que’ rossigni lividi e i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare. Le ciglia , per avervi fatto il modo del nascere i peli della carne, dove più folti, e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali. Il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca , con quella sua sfenditura, con le sue fini unite dal rosso della bocca, con l’incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola chi intensamente guardava, vedeva battere i polsi; e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice, e sia qual si vuole[13].

Qui Vasari nota anche che Leonardo provvede a suscitare nella persona ritratta l’allegria, coinvolgendo buffoni, suonatori e cantanti, “per levar via quel malinconico che suol dar spesso la pittura a’ ritratti che si fanno”; tutto ciò approda in Leonardo, sempre secondo Vasari, in “un ghigno tanto piacevole, che era cosa più divina che umana a vederlo, ed era tenuta cosa meravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”[14].

  1. Pathos come espressione mimica dei sentimenti in Leonardo.

Nel Trattato della pittura di Leonardo troviamo alcuni topoi comuni al pensiero del Trattato della Pittura di Leon Battista Alberti.

Anche Leonardo, come l’Alberti, infatti, individua dei tipi umani—i putti, i vecchi, le donne, le vecchie–, che devono essere caratterizzati dall’artista in base all’aspetto fisico e al movimento (II, 139-142, p. 61). In particolare, nella descrizione delle vecchie, sembra rivivere tutto il pathos dell’antica Menade, a riprova che si trattava di una rappresentazione comune nell’immaginario del tempo:

     Le vecchie si debbon figurare ardite e pronte, con rabbiosi movimenti, a guisa di furie    infernali, ed i movimenti debbono parere più pronti nelle braccia e teste che nelle gambe (II, 142, p.61)[15].

Ancora più confacente all’immagine della Menade è la descrizione della “figura irata”, che Leonardo ci offre, specialmente per l’uso della capigliatura scomposta e per l’atteggiamento violento– memore del rito dionisiaco dello sparagmòs–, che la caratterizzano:

             Alla figura irata farai tenere uno per i capelli col capo storto a terra, e con uno de’ ginocchi sul costato, e col braccio destro levare il pugno in alto; questo abbia i capelli elevati, le ciglia basse e strette, ed i denti stretti e i due estremi daccanto della bocca arcati, il collo grosso, e dinanzi, per il chinarsi al nemico, sia pieno di grinze (III, 377, p. 128)[16].

   Anche Leonardo, come l’Alberti, attribuisce grande importanza agli “accessori in movimento”– per dirla con Warburg–, quali i capelli[17],ma anche i panneggi, a cui dedica un intero capitolo del suo Trattato[18].

Inoltre anche per Leonardo vi è complementarità fra “moti dell’animo” e movimenti esteriori del corpo, intesi come mimica e gestualità:

               Le figure degli uomini abbiano atto proprio alla loro operazione in modo che, vedendole, tu intenda quello che per loro si pensa o dica; i quali saranno bene imparati da chi imiterà i moti de’ muti, i quali parlano con i movimenti delle mani, degli occhi, delle ciglia e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell’animo loro (II, 112, p. 54).

Proprio tramite la resa mimico-gestuale, il ”buon pittore” deve, per Leonardo, “dipignere due cose, l’uomo e la sua mente” (II,176, p.73), altrimenti non solo “la figura non sarà laudabile s’essa non mostra la passione dell’animo”(III, 364, p.124), ma sarà “morta”:

         Se le figure non fanno a atti pronti i quali colle membra esprimano il concetto della mente loro, esse figure sono due volte morte, perché morte sono principalmente ché la pittura in sé non è viva, ma esprimitrice di cose vive senza vita, e se non le aggiunge la vivacità dell’atto, essa rimane morta una seconda volta. Sicché dilettatevi di vedere in quei che parlano, insieme co’ moti delle mani, se potrete accostarli e udirli, che causa fa loro fare tali movimenti (III, 372, p.126).                 

  1. Moti dell’animo e moti delle membra

Il genio di Leonardo, con un linguaggio semplice ed empirico, dimostra che i movimenti del corpo contribuiscono in maniera anche maggiore, rispetto alle espressioni facciali, nel rendere i sentimenti, come spiega nel paragrafo “Del ridere e del piangere e differenza loro”:

Da quel che ride a quel che piange non si varia né occhi, né bocca, né guancie, ma solo la rigidità delle ciglia, che s’aggiunge a chi piange, e levasi a chi ride. A colui che piange s’aggiunge ancora l’atto di stracciarsi con le mani i vestimenti ed i capelli, e con le unghie stracciarsi la pelle del volto (III, 380, p.128)[19].

Nello stesso passo Leonardo descrive atteggiamenti diversi a seconda dell’emozione che ha suscitato il pianto, individuandone un’ampia gamma:

…si variano nelle varie cause del pianto, perché alcuno piange con ira, alcuno con paura, alcuno per tenerezza ed allegrezza, alcuno per sospetto, alcuno per doglia e tormento ed alcuno per pietà e dolore dei parenti e amici persi: dei quali piangenti, alcuno si mostra disperato, alcuno mediocre, alcuno grida, alcuno sta con il viso al cielo e con le mani in basso, avendo le dita di quelle insieme tessute; altri timorosi con le spalle innalzate alle orecchie; e così seguono secondo le predette cause (III, 380, p.128). 

Questo passo, nell’atteggiamento del pianto disperato, trova eco nel paragrafo in cui Leonardo descrive “Come si figura un disperato”:

Al disperato farai darsi di un coltello, e con le mani aversi stracciato i vestimenti, e sia una d’esse mani in opera a stracciar la ferita, e lo farai con i piè distanti, e le gambe alquanto piegate, e la persona similmente verso terra con capelli stracciati e sparsi (III, 378, p.128).

In più passi Leonardo ribadisce la coerenza e l’adeguatezza degli atteggiamenti, delle posture e i movimenti, con il pensiero della persona ritratta[20], anzi questo sembra essere il fine della pittura stessa. Tali indicazioni Leonardo trae, quale acuto osservatore della realtà che lo circondava, sia dall’osservazione diretta delle persone, come abbiamo osservato, sia dallo studio della mimica e della gestualità del teatro, visto che anche lui, nelle corti in cui fu accolto, specialmente presso Ludovico il Moro, fu un inventore di motti, di rime improvvisate – come abbiamo visto osservare da parte di Vasari- e, pertanto fu un abile gestore delle emozioni umane, specialmente per l’ilarità. Nei tanti disegni di fisionomie e di grottesche che ci sono prevenuti, Leonardo dimostra inoltre di aver molto riflettuto sulla fisiognomica[21].

  1. Mimica e gestualità
  • I gesti fuggitivi

 In più punti del Trattato Leonardo affronta, sempre con il suo linguaggio immediato e “semplice” per chi legge, eppure frutto di studio e riflessione, quelli che le moderne neuroscienze definiscono, nel campo della grafologia, “gesti fuggitivi”. Si tratta di segni, gesti, che vengono immessi nella scrittura in modo inconscio e che manifestano gli aspetti più profondamente emotivi della persona, al di là, dunque, della parola scritta e della relativa sfera logico-razionale. Tali gesti fuggitivi afferiscono anche alla mimica e alla gestualità, che immettiamo inconsciamente, ovvero sfuggono al controllo razionale, mentre stiamo parlando, o ascoltando, rivelando reazioni profonde della nostra psiche, in quanto espressione a loro volta del nostro temperamento.

Nel paragrafo “De’ moti delle parti del volto”, l’artista elenca tutte le reazioni emotive che si manifestano nella mimica facciale e che intende “spiegare” nella sua enciclopedica opera:

I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali, sono molti; de’ quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare in diverse voci acute e gravi: ammirazione, ira, letizia, malinconia, paura, doglia di marito e simili, delle quali si farà menzione. E prima del riso e del pianto, che sono molto simili nella bocca e serramento d’occhi, ma solo si variano nelle ciglia e loro intervallo; e questo tutto diremo a suo luogo, cioè della varietà che piglia il volto, le mani e tutta la persona per ciascuno d’essi accidenti, de’ quali a te pittore è necessaria la cognizione, se no la tua arte dimostrerà veramente i corpi due volte morti.[…] (III, 281, p. 103)

Leonardo intuisce che per rendere le emozioni l’artista deve curare la resa morfologica sia delle mimica facciale, sia della gestualità, sia degli atteggiamenti posturali, perché tutti questi aspetti messi insieme concorrono alla resa “fisiologica” dello stato d’animo del personaggio rappresentato, come spiega nel paragrafo “Della varietà dei visi”:

    Sia variata l’aria de’ visi secondo gli accidenti dell’uomo in fatica, in riposo, in pianto, in riso, in gridare, in timore, e cose simili; ed ancora le membra della persona insieme con tutta l’attitudine debbono rispondere all’effigie alterata (III, 362, p.124).

Leonardo affronta anche il tema di una gestualità consapevole, gestita abilmente per corroborare il discorso, per esempio da parte di oratori, affinché siano più efficacemente coinvolgenti e convincenti:

    Le mani e le braccia in tutte le loro operazioni hanno da dimostrare l’intenzione del loro motore quanto più sarà possibile, perché con quelle, chi ha affezionato giudizio, si accompagna gl’intenti mentali in tutti i suoi movimenti. E sempre i bravi oratori, quando vogliono persuadere agli uditori qualche cosa, accompagnano le mani e le braccia con le loro parole…( III, 365, p.124).

Riguardo alla partecipazione delle mani nella resa delle emozioni, Leonardo le studiò attentamente in vari disegni e nel Trattato le descrive persino nelle “giunture delle dita” in un paragrafo dedicato, per renderne il movimento:

    Le dita della mano ingrossano le loro giunture per tutti i loro aspetti quando si piegano, e tanto più s’ingrossano quanto più si piegano, e così diminuiscono quanto più le dita si addrizzano; il simile accade delle dita de’ piedi, e tanto più si varieranno quanto esse saranno più carnose (III, 263, p.98).  

  • Reazioni emotive collettive

Considerazioni ampie vengono poste nel Trattato, riguardo al modo di dipingere storie, ovvero gruppi di persone che partecipano ad un’azione corale, come nelle battaglie, oppure parlano fra di loro, reagendo ad un unico evento – per esempio ne l’Ultima cena.

Un principio fondamentale per Leonardo, per questo tipo di tematiche, è quello della varietà–dei tipi umani, delle fisionomie, dei gesti, delle reazioni:

   Nelle istorie debbono esser uomini di varie espressioni, età, carnagioni, attitudini, grassezze, magrezze; grossi, sottili, grandi, piccoli, grassi, magri, fieri, civili, vecchi, giovani, forti e muscolosi, deboli e con pochi muscoli, allegri, malinconici, e con capelli ricci e distesi, corti e lunghi, movimenti pronti e languidi, e così vari abiti, colori e qualunque cosa in essa istoria si richiede. E’ sommo peccato nel pittore fare i visi che somiglino l’un l’altro, e così la replicazione degli atti è vizio grande (II, 174, p.72).

Riguardo al sommo “difetto che hanno i maestri di replicare le medesime attitudini dei volti” (II, 104, p.51), Leonardo nota che spesso gli artisti vi proiettano se stessi, ovvero “in quelle si vede gli atti e i modi del loro fattore”(II, 105, p.52), cosa considerata “il massimo difetto de’ pittori” (Ibidem).

Al tema della battaglia, Leonardo dedica un paragrafo specifico”Come si deve figurare una battaglia”, in cui affronta problemi relativi alla struttura compositiva, alla “coreografia” della scena, e anche sembra sintetizzare quell’osmosi tra elementi morfo-fisiologici relativi ai movimenti delle membra, le posture, la gestualità, la mimica, che rende così vive le figure e l’espressione delle loro emozioni. In ciò anche elementi accessori, quali i capelli, o ambientali, come la polvere e il vento, contribuiscono a rendere il coinvolgimento di un pathos così esasperato. Ne citiamo i passi più significativi, che sembrano essere una descrizione puntuale della Battaglia di Anghiari:

   Farai i vincitori correnti con i capelli e altre cose leggiere sparse al vento, con le ciglia basse, e caccino contrarie membra innanzi, cioè se manderanno innanzi il piè destro, che il braccio manco ancor esso venga innanzi; […] Farai i vinti e battuti pallidi, con le ciglia alte nella loro congiunzione, e la carne che resta sopra di loro sia abbondante di dolenti crespe. Le faccie del naso sieno con alquante grinze partite in arco dalle narici, e terminate nel principio dell’occhio. Le narici alte, cagione di dette pieghe, e le labbra arcuate scoprano i denti di sopra. I denti spartiti in modo di gridare con lamento.[…] Altri morendo stringere i denti, stravolgere gli occhi, stringer le pugna alla persona, e le gambe storte. Potrebbesi vedere alcuno, disarmato ed abbattuto dal nemico, volgersi a detto nemico e con morsi e graffi far crudele ed aspra vendetta(II, 145, p.63).

Infine, nel paragrafo “Del figurare uno che parli infra più persone”, Leonardo analizza una vasta gamma relativa ai gesti e alle espressioni mimico-facciali, che sembra costituire descrizione precisa e puntuale di tutte le declinazioni messe in atto nel Cenacolo, in cui è evidente una reazione collettiva, eppure interpretata in maniera diversa in ogni singolo personaggio, ad un evento traumatico e sconcertante, quale l’affermazione di Cristo sul tradimento di uno degli astanti:

…se è materia di diverse ragioni, fa che quello che parla pigli con i due diti della mano destra un dito della mano sinistra, avendone serrato i due minori, e col viso pronto volto verso il popolo; con la bocca alquanto aperta, che paia che parli; e se egli siede, che paia che si sollevi alquanto ritto, e con la testa verso il popolo, il quale figurerai tacito ed attento a riguardare l’oratore in viso con atti ammirativi; e fa la bocca d’alcun vecchio per meraviglia delle udite sentenze chiusa, e negli estremi bassi tirarsi indietro molte pieghe delle guance; e con le ciglia alte nelle giunture le quali creino molte pieghe per la fronte (III, 375, p.127).

Conclusione

L’approccio metodologico impostato in questo breve saggio, consistente nel risalire ad uno studio filologico di testi scritti da Leonardo stesso e dei suoi coetanei, quali il Vasari o il Lomazzo, può fornire a mio avviso informazioni preziose, “di prima mano”, che possono ancora illuminarci su aspetti trascurati o addirittura alterati da una massa sconfinata, quanto caotica, di pubblicazioni, che continuano a ripetere cose pressoché simili, senza apportare, generalmente, un contributo ulteriore alla conoscenza del grande genio.

A mio avviso chiavi di lettura inedite possono essere individuate, sulle opere di Leonardo, solo se sapremo rileggere attentamente i suoi stessi “precetti”. Questi andranno poi confrontati con i disegni che ci sono pervenuti, che costituiscono bozzetti preparatori o studi per le opere pittoriche realizzate.

Il confronto fra “teoria” e pratica, potrà renderci consapevoli del lavoro, dello studio, della ricerca, della sperimentazione che a quelle immagini sottendono. Potranno cioè rivelarci un Leonardo dedito ad un’attività indefessa, che costituisce la base delle opere realizzate. Queste si riveleranno una sorta di “punta d’iceberg” rispetto alla massa di lavoro, di pensiero, di riflessione, derivante dall’osservazione continua di Leonardo.

I disegni che ci sono pervenuti sono circa un terzo di quelli che Leonardo ha prodotto e le descrizioni che fa nel suo Trattato della pittura spesso afferiscono a disegni perduti, per i quali la sua testimonianza scritta rimane l’unica documentazione pervenutaci, quindi il confronto va condotto non solo rispetto all’esistente, ma anche rispetto al perduto.

Si è visto che in passi specifici, Leonardo sembra fare una descrizione precisa e puntuale di quanto ha poi messo in atto in capolavori, quali La battaglia di Anghiari, il Cenacolo, L’adorazione dei Magi. Nella resa delle emozioni, in particolare, Leonardo si colloca come psicologo ante litteram, capace di analizzare, e quindi portare a consapevolezza, tutta la gamma dei “moti “ dell’animo. Mettendo in osmosi elementi fisio-psico-neurologici, egli precorre le moderne neuroscienze, che approcciano la diagnosi in modo olistico. Lo studio accurato della morfologia è strumento d’indagine della fisiologia e pertanto della causa di quei moti. Così con un’operatività empirica, un linguaggio semplice, un intuito profondo, un’ampiezza di vedute sconfinata, Leonardo ha saputo penetrare tutte le pieghe dell’animo umano, restituendocene una descrizione così puntuale da fornirci ancora “precetti” validi per l’uomo odierno.

 Lucrezia Rubini

[1] La bibliografia su Leonardo da Vinci è sterminata ed esistono diversi repertori bibliografici, tra cui la Bibliografia Vinciana di Ettore Verga o la Raccolta Vinciana, solo per citarne alcuni. Quando però si cercano approfondimenti specifici, come in questo caso sullo studio delle emozioni, i contributi risultano essere scarsi, poiché come Leonardo è stato eclettico, così gli studi richiederebbero competenze interdisciplinari, ancora rare. Interessante ho trovato l’intervento della Dott.ssa Roberta Barsanti, nel convegno tenutosi a Vinci, il 15 luglio 2016, in collaborazione con la Facoltà di Neurologia dell’Università di Firenze, dal titolo “Leonardo e le emozioni”, dove l’argomento è stato affrontato con un approccio interdisciplinare, nell’ambito delle neuroscienze.

[2] Qui sarà utilizzata la versione integrale, preceduta dalla “Vita di Leonardo” di Giorgio Vasari, con introduzione di Silvia Bordini, per i tipi della Newton editrice, Milano 1996.

[3] Questo meccanismo “di reazione” ad un evento eccezionale è particolarmente evidente in due opere fondamentali di Leonardo: L’adorazione dei magi , bozzetto del 1481 per i frati di San Domenico a Scopeto, conservata agli Uffizi e Il Cenacolo in santa Maria delle Grazie a Milano, 1495-98.

[4] Leonardo, Trattato della pittura, cit. parte I, paragrafo 3, p. 4. D’ora in poi le citazioni saranno indicate riportando parte e numero del paragrafo del Trattato, seguito dalla pagina dell’edizione qui adottata.

[5] Questo modo di operare sarà seguito da Bernini nei suoi “ritratti parlanti”.

[6]Giorgio Vasari, “Lionardo Da Vinci”, in Leonardo, Trattato della pittura, cit., pag. III. D’ora in poi i passi relativi a Giorgio Vasari, presenti nell’introduzione dell’edizione Newton, qui seguita, saranno indicati con numeri romani. Questa edizione Newton, a sua volta, riproduce l’edizione Sansoni, commentata, del 1878-85, riferentesi alla versione di Vasari del 1568.

[7]Giorgio Vasari “Lionardo da Vinci”, cit., p.VIII. Per questo riferimento si veda la “Madonna del garofano”, 1474-78, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera, dove un vaso di vetro è collocato a destra della Madonna col Bambino, contenente i fiori “stella di Gerusalemme”.

[8] Ivi, p.IX.

[9] Citato in nota 3, Ivi, p.IX.

[10] Ivi, p.X.

[11] Quella a cui fa riferimento Vasari è il primo cartone, andato perduto, cui seguirà l’altro del 1508 pervenutoci e conservato alla National Gallery, preparatorio per il dipinto del Louvre.

[12] Ivi, p.XVI.

[13] Ivi, p.XVII. Sul modo di usare lo “sfumato” da parte di Leonardo per rendere, mediante l’uso del chiaroscuro a cui dedica moltissimi passi nel Trattato della pittura, e come questo renda la motilità e mutevolezza dell’espressione, richiederebbe una trattazione dedicata, che qui non può trovare spazio.

[14] Ibidem

[15] Non mi sembra ci siano pervenuti disegni di vecchie; ciò dimostra che si tratta di uno o più disegni perduti, poiché tutto ciò che Leonardo ha descritto e teorizzato, derivava da studio ed esperienza vissuti.

[16]Esempi di tali espressioni possiamo trovare nelle copie che ci sono pervenute, del perduto cartone della Battaglia di Anghiari.

[17] Si veda “La scapigliata”, opera di discorde attribuzione, 1508-10, Galleria Nazionale di Parma

[18] Si veda: IV, 517-532, pp. 173-178.

[19]L’atto di strapparsi i capelli per rappresentare il dolore e anche l’ ira, derivante da molti passi soprattutto dell’Antico Testamento venne usato per la prima volta da Giotto nella cappella degli Scovegni di Padova; questo gesto faceva parte quindi dell’immaginario artistico che Leonardo seppe rielaborare consapevolmente, per la resa, in questo caso, della gestualità riferita al pianto. Cfr. l’interessante saggio di Michele Lacerenza, Strapparsi le vesti nell’iconografia medievale:il caso del san Giovanni Evangelista nella chiesa di Santa Lucia a Barletta, IV ciclo di studi medievali, Firenze, 4-5 giugno 2018, NUME, ed. EBS, pp. 473-480.

[20] Oltre ai passi già citati, III, 372, p.126; III, 176, p. 73; III, 364, p.124, si vedano anche: III, 276, p.102; III, 290, p.106; III, 293, 294,295, p.107; III, 354, p.122; III, 355, 356, p.123; III, 366, 367 p.125; III, 275, p.101, relativamente alla coerenza tra movimenti del corpo e “attenenza alle loro operazioni”.

[21] Per quanto riguarda Il Trattato, si vedano in particolare i paragrafi: “De’ membri e descrizione d’effigie”, “Del fare un’effigie umana in profilo dopo aver guardato una sola volta”, “Modo di tenere a mente la forma d’un volto”. Cfr. F. Cairoli, Leonardo. Studi di fisiognomica, Milano, Leonardo, 1995.