BORGHESI E REPROBI NEL TEATRO DI GORK’IJ

di Raffaele Aufiero

Maksim Gork’ij si propose al mondo delle lettere, alla società Russa nonché alla comunità letteraria internazionale già giovanissimo. Dopo alcune esperienze in campo narrativo, e qualche esperienza significativa in poesia (Canto della procellaria), cominciò ad interessarsi al teatro, passione che avrebbe sostenuto e che lo avrebbe sostenuto anche nella sua successiva attività di pubblicista.

Si era nel periodo in cui da parte delle forze culturali si voleva portare sulla scena l’assoluto come frutto dell’attività umana, opera dall’uomo libero d’intesa con le masse popolari: occorreva cioè realizzare una terra senza cielo, e sostituire il dio uomo del cristianesimo con l’uomo dio del proletariato.

Questa consapevolezza inizialmente è affidata al personaggio di Satin nei Bassifondi (atto III): “ …è  tutto nell’uomo, tutto per l’uomo! Solo l’uomo esiste, tutto il resto deriva dalle sue mani e dal suo cervello! L’uo-mo! E’ magnifico! Suona… In maniera così fiera! Uo-mo! Bisogna rispettarlo!”

Gork’ij dunque non si sottrasse all’impegno e accettò la sfida che di scena in scena, da titolo a titolo, lo avrebbe fatto diventare ambasciatore della letteratura russa nel mondo, costruttore di un modello letterario che fosse il “sentito” dell’uomo singolo amministrato dallo scrittore nella dimensione a venire dell’uomo massa, dell’umanità. 

Perciò nel suo nome, già considerato egli maestro della giovane letteratura sovietica, fu sancita la teoria del realismo socialista. A lui milioni di sovietici guardarono come a un nume tutelare che aveva messo il suo grande talento al servizio della causa del proletariato. Molotov, nell’elogio funebre, ebbe a dire: “Dopo la morte di Lenin, la morte di Gork’ij è la perdita più grave del nostro paese e dell’umanità”.

Vasta e complessa la sua produzione teatrale deve comunque tutto il suo successo ad un avvio deciso quanto consapevole delle sue forze drammaturgiche già presenti e organizzate nei suoi primi drammi, quegli stessi che avrebbero rappresentato l’officina ideologica e artistica di tutta la sua produzione a venire.

L’avvio dell’attività di scrittore per il teatro di Gork’ij è legato a Piccoli borghesi, in origine Scene in casa di Bessemenov, che custodisce nel suo titolo la caratteristica di quasi tutte le sue opere teatrali, quella cioè di non avere una vera e propria trama, essendo un seguito di scene atte a caratterizzare ambienti e tipi. L’azione si svolge nella proprietà di un ricco borghese nella quale convivono anche famiglie di origini operaie e testimonia i motivi di scontro ideologico nel quale si mescolano anche storie sentimentali. Una città di provincia. Casa di Bessemenov. Col proprietario vivono la moglie e due figli Petr, ex studente e Tatiana maestra elementare. Della famiglia è parte anche il giovane Nil cresciuto con Petr e Tatiana la quale è di lui innamorata mentre egli invece è invaghito di Polia, figlia di un parente di Bessemenov. Ma la trama e la vicenda hanno scarso rilievo nell’economia della commedia in quanto ciò che più e meglio emerge da essa è lo scontro ideologico di Nil, proletario e quindi portavoce del mondo nuovo che andava affermandosi in terra russa in quegli anni, contro la struttura piccolo borghese della società, polemica che troverà il suo epilogo con la fuga da quel mondo sia di Nil, presente  occasionalmente, sia di Petr, che fino a quel momento ne è stato invece assorbito organicamente.

Messo in scena nel 1902 dal nascente teatro d’Arte, che proprio con quest’opera di Gork’ij dava avvio alla scelta di una linea politico-sociale, e con la regia di Stanislavkij, già innovativo proponente di un arte registica congruente con le esperienze di vita – ovvero di un  metodo di concepire l’arte del teatro in scena che da lui avrebbe preso il nome – non ebbe molto successo a causa dell’interpretazione forse troppo naturalistica che ne evidenziava il carattere cronachistico, sviluppando un aggrovigliato sovrapporsi  di vicende confinanti con la banalità.

Gork’ij però, postosi a suo credere sulla strada giusta per interpretare gli ideali di una cultura innovativa, cercava di rispondere al doppio postulato dell’ideologia marxista tendente da una parte a contrastare le spinte conservatrici della borghesia corruttrici e distruttive delle aspirazioni della società e dall’altra a enfatizzare la problematica esistenziale e storica del proletariato, due opzioni di lotta non necessariamente consequenziali né alternative. L’una insieme all’altra indissolubilmente.

E infatti mentre con Piccoli borghesi Gork’ij annunciava quello che sarebbe stato il principale bersaglio della sua successiva attività di drammaturgo (ma anche di romanziere fino a Gli Artamònov),  cioè il mondo borghese nelle sua varie sfumature, col secondo dramma, Nel fondo,  egli evidenziava un distacco con quella parte del proletariato, il Lumpenproletariat, con il quale aveva avuto tanti contatti, per rivolgersi al nuovo proletariato, quello rivoluzionario celebrato soprattutto nel romanzo La Madre,  conosciuto – anche, se non soprattutto – per la trasposizione teatrale che ne fece Bertolt Brecht con il suo dramma apologetico della presa di coscienza rivoluzionaria da parte di un proletariato incolto, vessato e sfruttato, vittima delle ingiustizie della classe egemone, qualunque essa fosse, come poi è emerso dalle sue numerose messe in scena in tutto il mondo.

Bassifondi o anche L’ albergo dei poveri , traduzione un po’ arbitraria più o meno in uso a tutte le versioni occidentali di Na dne che in russo vuol dire Nel fondo. E pur volendo disimpegnarsi  dall’accanimento dei traduttori  a proposito di questo titolo è utile ripetere che le due versioni Bassifondi e L’albergo dei poveri rinviano necessariamente a un luogo fisico, delimitato da confini strettamente materiali  in cui si manifestano certi comportamenti di certe persone ascrivibili a certe categorie dell’umanità.

E il teatro di Gork’ij è tutto e sempre un teatro di contesti, di ambienti dai quali nascono situazioni che a loro volta innescano vicende e  comportamenti di personaggi. Perciò Nel fondo è più appropriato come titolo, perché dice ben altro, narra cioè dei bassifondi della vita spirituale, dove maturano sofferenze indicibili e corrompimenti della personalità, luoghi della coscienza e dell’esperienza esistenziale dei suoi protagonisti, luoghi caratterizzati da una voragine  psicologica dove si cade e non ci si rialza più. E il tutto riconduce con molta evidenza – per dirla con Ettore Lo Gatto – a quel momento della fine dell’Ottocento in cui la questione sociale consisteva nel rivendicare l’umanità dei miseri e nel vagheggiare una loro imminente e  dirompente emancipazione, quel sogno di palingenesi che diede una valenza molto programmatica all’allestimento del “Piccolo” del ’47.

Questo dramma ci porta al centro di una dimensione umana dove si possono vedere tutte le miserie e la violenza di quel mondo “sotterraneo” abitato, anzi vissuto da una popolazione composita che occupa l’ospizio tenuto da Kostylov e sua moglie Vasilisa. In scena agiscono l’amante di lei, un ladro, che vorrebbe abbandonarla per sua sorella; un fabbro la cui moglie muore di tisi in piena scena, compianta solo da un coro di ubriachi; Nastasa, la sorella di Vasilisa che fa la prostituta; un ex barone; un attore fallito; uno strano tipo di predicatore; un viandante. E poi un ciabattino, un venditore di frittelle, un berrettaio, un poliziotto zio delle sorelle rivali. Neppure questa commedia ci conduce ad una trama vera. Fra questa gente succede di tutto e di niente: liti per futili motivi, gioco delle carte, canzoni, confessioni, ubriachezze, rimpianti, morte, gelosia del marito per Vasilisa, gelosia di costei per il ladro, ammazzamento del marito in una rissa.

Il dramma comunque appronta una situazione teatrale non certo nuova per Gork’ij, con un’anticipazione narrativa nel racconto Ex-uomini dove anche il contesto è lo stesso del futuro dramma. Un dormitorio notturno, abitato da personaggi borderline tra i quali emerge l’ex capitano di cavalleria Kuvàlda  interprete, se non proprio dell’ideologia  di Gork’ij, promotore di certe sue posizioni esistenziali e sociali quando dichiara “Io sono un ex-uomo, non è così? Io sono un reietto, vuol dire che sono libero da qualsiasi legame… Vuol dire che posso infischiarmene di tutto…”  acclarando in questo modo quella che sarebbe stata poi la propensione del secolo verso un programmatico cinismo.

Questo perché tra i racconti giovanili di Gork’ij, quelli dedicati al mondo dei vagabondi e degli “ex-uomini” sono certamente i più significativi in quanto già vi si manifestava quel phatos di ribelle che avrebbe caratterizzato la sua produzione futura consegnando l’A. alla fama di cantore dei “vagabondi”  e degli “ex uomini”. Dove l’espressione ex uomini declina l’appartenenza a questa o a quella classe sociale di soggetti che ne hanno fatto parte in maniera organica ma ne sono usciti per circostanze di vario genere tra cui, tra l’altro, anche un certo istinto di ribellione al proprio mondo, fenomeno che, tra la fine del sec. XIX e il principio del XX, fu abbastanza frequente i Russia, come puntualizza  ancora Ettore Lo Gatto.

Questi eroi sono creature precipitate nel baratro della loro coscienza a causa della loro più o meno dichiarata aspirazione ad annullare i rapporti della propria esistenza sociale. Gli esclusi di una società che tende a respingerli non riconoscendoli, non appartengono essi ad una classe di poveri tout court, non sono i rappresentanti di quel Lumpenproletariat nel quale si tendeva a vedere solo il disordine nomenclatorio della categoria povertà, ma che va analizzato in una dimensione antropologica e in un’ottica esistenziale più complete e complesse, perché sono trasversali a qualsiasi analisi per così dire “tecnica”. Sono falliti, per causa altrui, ma anche per causa propria, sono dei non realizzati, schiacciati dalla sorte, cioè dalla malasorte, come anche dal capitale. “Nel fondo” fino a diventare dei reietti, quando non delinquenti.

Saranno dunque proprio questi due iniziali capolavori a dettare le coordinate drammaturgiche e a segnare il percorso maturo che Gork’ij, l’intuizione artistica che caratterizzerà tutta intera la sua produzione teatrale, quel messaggio artistico e politico, che negli anni a venire si arricchirà  di altri titoli importanti da I nemici a I figli del sole a Gli ultimi al postumo Il pane amaro. (R.A.)