RIFLESSIONI SUL PRESENTE DELLE CARCERI ITALIANE

PASSAMI A PRENDERE. In carcere oggi è un libro non facile da classificare. Scritto da Stefano Liburdi, giornalista e Angiolo Marroni, dirigente politico e amministratore pubblico di lungo corso, esperto di politiche carcerarie, nasce da esperienze dirette degli autori. Pubblicato nell’estate del 2017 da Mincione editore di Roma, accentua la collaborazione tra Marroni e Liburdi che aveva portato alla precedente pubblicazione Una storia raccontata male, dove era prevalente l’aspetto autobiografico di Marroni, in cui quello legato alle politiche carcerarie ha notevole peso.

In questa nuova prova, Angiolo Marroni racconta la vita del carcere, partendo dalla sua lunga esperienza di amministratore provinciale, regionale, di studioso delle tematiche carcerarie e di Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, incarico ricoperto dal 2004 al 2014. La fa avendo alle spalle una qualificata formazione universitaria, su cui si implementa una lunga proficua esperienza politica e professionale, in cui s’intrecciano elementi ideali e concretezza dell’agire quotidiano. Lo fa con linguaggio semplice, comunicativo, di facile comprensione. La sua testimonianza sulla vita nel carcere non è solamente per i politici, i magistrati, gli addetti ai lavori, gli esperti, ma in prevalenza per il lettore comune spesso disattento e disinformato sulla vita nelle carceri, per quelli che gridano “In galera e buttate la chiave!” La sociologia, l’antropologia e gli aspetti giudiziari non interessano Marroni; egli si sofferma sulla realtà presente, sulla condizione e conduzione del carcere, sulla qualità dei servizi e sulla utilità della struttura, al fine di rispondere al dettato costituzionale che vuole la pena come strumento di recupero e di reinserimento sociale. E lo fa senza indulgere, anzi accentuando sempre l’insegnamento e l’esempio della legalità. Per cui l’interrogativo prevalente, non sulla base di astratti principi illuministici o umanistici, ma in base alla realtà oggettiva, è quale pena debba essere la più utile per tutelare l’uomo detenuto e la società alla quale appartiene. Da qui l’esigenza di studiare pene alternative da esercitare mediante forme utili alla stessa società, a cominciare dal lavoro e dallo studio. La quotidianità della cella e il rapporto tra detenuti e guardie penitenziarie sono aspetti che non possono essere considerati astrattamente, ma vanno valutati nel contesto. Nessun giudizio traspare dalla narrazione di Marroni, ma soltanto la rappresentazione della realtà in cui è calata l’esistenza di una persona che ha diritti e doveri al pari degli altri, sul piano umano. Così i problemi del tempo che trascorre dietro la sbarre, l’amicizia tra detenuti, l’alimentazione, la sessualità, l’esercizio religioso, le devianze psicologiche e psichiatriche, l’assistenza sanitaria, il rapporto con la famiglia: sono temi di grande spessore umano, ai quali il carcere deve rispondere organizzando una difficilissima quotidianità.

Stefano Liburdi si sofferma su alcune storie di vita apprese in carcere, incastrate nella narrazione generale come paracarri per legare la vita esterna a quella dietro le sbarre. Sono incursioni nella vita ordinaria, che spiegano il nascere del problema che porta a delinquere, all’indagine, al giudizio e alla pena. Si tratta di un tentativo di umanizzare il carcere, consentendo al lettore di guardare ai detenuti non come figure giudiziarie ma come persone in carne e ossa. Vincere il pregiudizio non è facile, per colpa di una cultura distorta. Per cui ogni fascinazione letteraria assume caratteri positivi per capire cosa c’è dietro una singola storia e l’intreccio che ne consegue e che porta a quel dato contesto. Liburdi riesce nell’intento, potendo utilizzare il mestiere di giornalista per costruire e raccontare storie che aiutano a capire il nostro tempo.

Un libro utile e necessario, quindi, anche per capire dove sta andando l’Italia, tra amministrazione della giustizia legata alla società in essere e alla sua evoluzione, all’immigrazione, alla droga, alla criminalità comune e a quella organizzata, accanto ai temi della sicurezza e alla percezione della paura da parte dei cittadini.

Purtroppo il quadro nazionale è cambiato negli ultimi mesi. Basti pensare che il regolamento carcerario che doveva seguire la riforma approvata dal governo Gentiloni non è stato ancora deciso dal nuovo governo e il tema cruciale della giustizia e del sistema penitenziario conseguente è stato ridimensionato dalla scelta sovranista di Matteo Salvini, per non parlare della vacuità ciarliera di Luigi di Maio e della astrattezza di Alfonso Bonafede.

Passami a prendere è un libro che i signori che tentano di governare l’Italia dovrebbero leggere. Sempre che sappiano cosa sia un libro sul carcere e cosa dovrebbe trattare un libro sui detenuti.

Agostino Bagnato

Roma, 12 settembre 2018