LEONARDO, PER SEMPRE. UN GENIO, PLURALE

LE ANATOMIE E L’NCANTO DELLA MATERNITÀ

Antonio Vitale

Tutto è chiaro, forse, ma non tutto. Il mistero si infittisce e ci nutre: Leonardo da Vinci.

Da più di cinquecento anni molti, tanti, tantissimi, si sono interrogati su quali siano i presupposti da cui hanno origine le opere di Leonardo offrendo, da più parti, una risposta convergente: la determinazione eccezionale ed unica del genio leonardesco, che felicemente muove la sua illuminata e perseverante “etica del fare”, è tutta polarizzata verso un’irrinunciabile necessità di comprensione, prevalentemente basata su un’analisi di tipo esperienziale, della condizione dell’Uomo tout court, in un binomio indissolubile tra sopra e sotto pelle. Interesse storico ed artistico che, da sempre, ha cercato di individuare il carattere e la specificità dei processi ideativi e creativi con cui una così ostinata devozione, rincorsa lungo tutta la vita da Leonardo verso l’uomo di cui sopra, sia magistralmente divenuta una sequenza d’immagini memorabili. Opere queste che, icone di esemplare armonia ed alitate da un sentore di vita che incide la nostra memoria con un sigillo di unicità, toccano la più alta espressione della poesia visiva piegata dal pensiero umano, divenendo mirabili geografie di segni e, quando in pittura, illuminate e sensibili stesure di sfumato e sensibile colore.

Leonardo, quale mente assetata di conoscenza, dilata il proprio raggio d’interesse in ogni campo dello scibile, intraprendendo imprese assai ardite per il suo tempo tra cui lo studio dell’Anatomia umana, attraverso la dissezione di cadaveri, che gli consentì di entrare nel corpo del mondo, facendogli assaporare i suoi misteri celati sotto il sottile confine della pelle, che noi tutti indistintamente indossiamo per sfilare sulla passerella della vita. Come mai nessuno prima di allora, egli voleva profondamente conoscere i corpi che intendeva dipingere o disegnare, senza però accontentarsi di copiare l’uomo approssimato nell’attimo della quotidianità della vita e descritto solo nei suoi atteggiamenti esteriori, bensì arrivare a conoscere l’origine, intima, di quegli atteggiamenti. Del come, ad esempio, un braccio possa assumere una certa posizione e non un’altra e per farlo, studiare tutti i muscoli che fanno muovere il braccio e nel contempo, attraverso i tendini, le ossa che sorreggono questi muscoli per arrivare, infine, a comprendere il perché il braccio, naturalmente, si muove. Questa condizione di conoscenza “radicale” delle cose, sarà imprescindibile nella storia artistica di Leonardo che, a riguardo, così scrive: “Necessaria cosa è al pittore, per essere bon membrificatore nell’attitudine e gesti che far si possono per li nudi, di sapere la notomia di nervi ossi muscoli e lacerti, per sapere nelli diversi movimenti e forze qual nervo o muscolo è di tal movimento causa, e sol quegli fare evidenti e ingrossato, e non li altri per tutto, come molti fanno, che per parere gran disegnatori, fanno i loro ignudi legnosi e sanza grazia, che pare a vederli un sacco di noci più presto che superfizie umana, ovvero un fascio di ravanelli più presto che muscolosi nudi”.

Rispetto allo straordinario lavoro leonardesco, ogni epoca esprimerà il proprio pensiero sull’immenso patrimonio anatomo-iconografico da lui realizzato (oltre duecento fogli compilati su ambo i lati), confermando alcuni punti fermi, arricchendo o ribaltando quanto precedentemente detto, e questo non solo per l’emergere di nuovi documenti, ma perché la ricerca storica è essa stessa un’entità viva e in crescita che, lungo la linea del tempo della Storia, asintoticamente tende, sempre più, a scoprire e capire la meravigliosa macchina umana.

In un periodo incastrato tra il XIV e il XV secolo, l’atteggiamento culturale, attivo principalmente in ambito letterario e caratterizzato dall’esaltazione dei classici greci e latini, ancorché non possa essere considerato integralmente un momento storico e culturale che sottende il fare, costituendone l’ossatura, dell’Umanesimo, anticipa un nuovo modo di vivere che caratterizza e dà corpo al Rinascimento.

Una rinascita, soprattutto italiana, che riguarda l’Uomo di questo tempo, risvegliatosi dopo che per mille anni, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, si era lungamente addormentato concedendosi all’oblio di un Medioevo che aveva schiacciato la sua gente, condannandola a galleggiare in uno spiritualismo, misticismo o religiosità che trovava le sue ragioni e la sua forza in un lontano senso del divino, forse, troppo dolosamente distante e sordo alle esigenze e al grido dei bisogni più basilari della vita quotidiana dei più.

L’Uomo, in rinascita, del quattrocento e del cinquecento, invece, sovvertendo questo pesante clima, afferma la potenza dell’equazione che lega “individuo” ed “universo”, e che tende a spostare il baricentro della sua forza vivificante verso un’idea di “entità” intesa come universo a sé, globalmente orientata verso tutti gli aspetti dell’esistenza che comprendono, anche e principalmente, l’arte, la letteratura, la scienza, la storia. La Vita.

Nuovi valori vengono a sostituirsi agli ormai dissolti ideali cavallereschi: valori più aggrappati alla terra e alla vita terrena, valori che aprono prepotentemente la strada alla gioia del vivere e all’esaltazione dell’intelligenza e delle qualità individuali, quali fondamenta su cui si baserà una più laica civiltà rinascimentale.

Ecco allora come lo studio dell’Anatomia, scienza sorella della Filosofia naturale, riveste un ruolo fondamentale per il “rinato” clima del tempo, nell’ottica di uno studio finalizzato alla scoperta dei principi che regolano la conformazione e la struttura degli esseri viventi, uomo ed animale, in relazione all’architettura della natura e, da qui, portano alla contemplazione della Creazione. In pratica la conoscenza della struttura del corpo umano riveste un’utilità terapeutica, come insegna Galeno di Pergamo in De locis affectibus, e la prima sua finalità è la comprensione della Natura: ovvero, appunto, della Creazione.

In quegli anni l’anatomia riveste due distinte anime, disgiunte spesso; frammiste, a volte.

L’anatomia “normale” o “filosofica”, praticata da storici della medicina di estrazione medica o umanistica, artisti, storici dell’arte, della letteratura, dell’antropologia, svolta a scopo eminentemente dimostrativo e didattico, caratterizzata dallo smembramento di tutto il corpo e utilizzata per dimostrare la struttura della materia fisica umana “abditarumque ejus partium”, che si distingueva dalla sezione di anatomia “medica”, che abitualmente limitava il proprio campo d’indagine studiando le tre cavità di testa, torace e addome; pratica, quest’ultima, impiegata con un fine diagnostico di natura legale, sanitario o patologico. Questa distinzione segna il confine di scrittura medica della sectio in due distinti filoni di ricerca, per cui è possibile riferirsi al termine di “dissezioni”, parlando di anatomia filosofica e, diversamente, di “autopsie”, riferendoci all’anatomia medica.

A tal punto d’analisi, per meglio comprendere la vicenda meta-artistica di Leonardo, con un particolare occhio verso le sue Anatomie, è necessario tracciare, anche solo per sommi capi, quali fossero gli ambiti in cui operava la medicina a lui coetanea. Ci troviamo dunque a rilevare, da un lato, una “Teoria umorale”, e dall’altro, quella dei “Nessi astrologici”.

Più specificamente, la “Teoria umorale” sosteneva che se una parte del corpo o di un organo si ammalava, la cura consisteva nel porre fine ad uno squilibrio generale tra i quattro umori costitutivi del corpo, ovvero sangue, flegma, bile rossa e bile nera, e non ricercando la causa nella specificità della patologia dell’organo, così come Leonardo scrive, dicendo: “Medicina è ripareggiamento de’ disequalati elementi, malattia è discordanza d’elementi fusi nel vitale corpo”. In tal senso, una procedura praticata dai medici era la flebotomia, ovvero un’evacuazione di sangue a scopi terapeutici. Saranno gli studi anatomici del tempo a consentire nei secoli successivi una visione del problema medico da individuare nello specifico della patologia dell’organo. In tal senso preziosa testimonianza ci è data dal testo Anothomia di Mondino, commissionata dal medico fiorentino Lorenzo da Bisticci prima del 1478. Trattasi di Mondino de’ Liuzzi, professore di anatomia all’università di Bologna che verso il 1316, con il suo trattato, offriva un prezioso ed utilizzatissimo strumento guida per praticare le dissezioni nelle università; metodiche guidate sul lato teorico da un medico anziano (ostensor), ed effettuate praticamente da un chirurgo (sector) o anche, spesso, da dei barbieri. Il testo Anothomia di Mondino era altresì accompagnato da un’illustrazione di flebotomia, la quale segna una svolta per le tavole anatomiche del tempo. Parliamo cioè di tavole nelle quali, quasi nella totalità dei casi, la parte testuale era ricca e ridondante di particolari mentre la figura rivestiva invece una funzione solo schematica, marginale e, a volte, poco realistica. Sicché seppur nel disegno flebotomico del manoscritto di Lorenzo da Bisticci (Figura 1), la figura infranga questa tendenza, ed offra un certo realismo, tuttavia essa aggiunge ben poco alle note del testo. Manca cioè nella specificità della tavola una corrispondenza tra le note scritte riguardanti il come tagliare le vene e la rappresentazione grafica delle vene nel corpo umano.
Leonardo saprà, con straordinaria abilità e cura per i particolari, scrivere e illustrare delle tavole che costituiscono sovente intuizioni geniali, capaci di colmare questa grave lacuna di conoscenza per approfondire, come mai prima era stato fatto, la “cosa” anatomica. Emblematiche in tal senso le parole con cui dice: “E tu, che vogli con parole dimostrare la figura dell’omo con tutti li aspetti della sua membrificazione, removi da te tale openione, perché, quanto più minutamente descriverai, tanto più confonderai la mente del lettore e più lo removerai dalla cognizione della cosa descritta. Adunque è necessario figurare e descrivere”.

Figure 1 – Anonimo artista fiorentino, ante 1478, dal manoscritto di Lorenzo da Bisticci con l’Anathomia di Mondino de’ Liuzzi

Per quanto attiene, invece, i “Nessi astrologici”, per i quali Leonardo fu particolarmente scettico, la medicina che ad essi si riferisce indicava una stretta connessione tra le diverse parti del corpo e i dodici segni zodiacali, con i pianeti, il sole e la luna, come è visibile in miniature del tempo quali, ad esempio, “L’uomo zodiacale” (Figura 2). Il legame astrale indicava il saldo rapporto tra malattia e terapia – o per dirla con Leonardo, definizione e riparo – e facilmente si evince come una persona che aveva, per esempio, come ascendente l’Ariete, era massimamente soggetta a mal di testa, in armonia al fatto che tale segno zodiacale domina la testa.

Figure 2 – L’uomo zodiacale, dopo il 1417, di Jean e Paul Limbourg

La passione per l’anatomia spinge Leonardo sempre più avanti nella conoscenza del corpo umano ed animale. L’uomo è il baricentro dell’arte leonardesca, e si tratta dell’uomo esaminato e indagato al di fuori di ogni schema religioso o preoccupazione mistica. In tal senso risultano emblematiche le sue ironiche parole che così parlavano: “La definizione dell’anima lascio alle menti de’ frati, padri de’ popoli, li quali per ispirazione san tutti li segreti.”

In quest’ottica il suo San Gerolamo (1481-1482), opera non finita e conservata oggi nella Pinacoteca Vaticana, ci restituisce con una forza senza eguali questo atteggiamento di Leonardo nei confronti dell’uomo. Il tradizionale Santo è definitivamente sparito, non veste più gli abiti dell’asceta davanti a Dio ma, con una mirabile geografia di segno e disegno, egli è uomo tra gli uomini, con il volto trasparente impresso in una sofferenza ultima, quasi mortale, pienamente scolpito nel gesto che sta per compiere, attraverso il movimento contrapposto di braccio e testa, nella contrazione palpabile dei suoi muscoli e da qui, nella derivante forza trasmessa dai tendini al corpo. Così facendo Leonardo è capace di andare al di là della pelle e della superficie, cosa che invece aveva caratterizzato l’anatomia artistica quattrocentesca fino ai disegni di Antonio del Pollaiolo, offrendoci una visione che oggi potremmo chiamare radiografica. Il suo “Gerolamo-anatomico” stigmatizza la storia senza fine dell’umanità di sempre, interpretata in tutta la sua sofferente bellezza, tragicità e verità, quale susseguirsi di fragilità e caducità impresse nella luminosità, sommessamente diffusa, di una scena dall’accentuato e timbrico clima chiaroscurale.

Non già che gli studi di Anatomia non avessero turbato Leonardo che, per raggiungere la pienezza e compiutezza dei suoi disegni, dimostrati ad esempio per un sola “figura”, scrive: “Per averne vera e piena notizia, ho disfatti più dieci corpi umani, destruggendo ogni altri membri, consumando con minutissime particule tutta la carne che dintorno a esse vene si trovava, sanza insanguinarle, se non d’insensibile insanguinamento delle vene capillari. E un sol corpo non bastava a tanto tempo, che bisognava procedere di mano in mano in tanti corpi, che si finissi la intera cognizione, la qual ripricai due volte per vedere le differenze”. Ed ancora, in relazione alla difficoltà “emotiva” nell’operare le sue dissezioni, dice: “E se tu arai l’amore a tal cosa, tu sarai forse impedito dallo stomaco; e se questo non ti impedisce, tu sarai forse impedito dalla paura coll’abitare nelli tempi notturni in compagnia di tali morti squartati e scorticati e spaventevoli a vederli; e se questo non t’impedisce, forse ti mancherà il disegno bono, il qual s’appartiene a tal figurazione … Delle quali non sono stato impedito né d’avarizia o negligenzia, ma sol dal tempo”.

Risale probabilmente agli anni fiorentini (1478-1487) prossimi al suo San Gerolamo, uno dei primissimi disegni anatomici: l’Albero delle vene (Figura 3), realizzato tra il 1480 e il 1482, disegno di straordinario dettaglio e compiutezza nel quale Leonardo sovrappone sul disegno di un corpo integro, il cuore, il fegato, i reni, la milza, la vescica, le arterie e le vene. In particolare per quanto attiene alle arterie e alle vene si pensava che le prime originassero dal cuore, mentre le seconde dal fegato, ed è per questo che probabilmente Leonardo disegna il fegato senza lobi, con una forma molto simile al cuore, riuscendo a ben definirlo nella sua reale forma e struttura solo dopo il suo ritorno a Firenze, negli anni che vanno dal 1503 al 1508, praticando nell’ospedale di Santa Maria Nuova la dissezione di un ultracentenario (1506), di cui scrisse: “E questo vecchio, di poche ore innanzi la sua morte, mi disse lui passare cento anni, e che non si sentiva alcun mancamento ne la persona, altro che debolezza: e così…, sanza altro movimento o segnio d’alcuno accidente, passò di questa vita. E io ne feci notomia per vedere la causa di sì dolce morte.”

Figure 3 – Albero delle vene, 1480-1482 circa. RL 12597r

In questi anni, a Firenze, non è più illegale praticare autopsie; sempre che i cadaveri appartengano a poveri, di sesso maschile, i cui corpi esanimi nessuno reclamerà mai. In relazione a questa pratica Paolo Giovio vescovo di Nocera scriverà, nei suoi dialoghi “Vita di Leonardo” del 1523-1527: “Si diceva che sezionasse pure i cadaveri dei giustiziati, che era un lavoro sgradevole ed inumano persino nelle aule mediche, perché voleva che fossero riprodotte con naturalezza le varie posizioni delle membra ed il movimento che deriva dalla forza dei muscoli e delle vertebre. Perciò fu in grado di raffigurare con mirabile bravura le immagini di tutti i particolari, fino alle esili vene ed all’interno delle ossa così che da questa opera di studio durata molti anni a favore dell’arte potessero essere forgiate figure di bronzo.”

Ma Leonardo, nell’ospedale di Santa Maria Nuova, ignorando le limitazioni relative alle autopsie, decide di indagare oltre, svelando il mistero più straordinario del genere umano: la maternità. Tema che, per il resto della sua vita, dominerà il suo straripante operato.

Dissezionando il cadavere di donne incinte, egli scrive: “Voglio capire il concepimento dell’uomo, comincerò con la formazione del bambino nell’utero, vedrò come vive al suo interno e fino a che stadio vi rimarrà”.

La determinazione che caratterizza questo suo obiettivo d’indagine e conoscenza lo porterà ad illustrare le geografie umane che sottendono le straordinarie forze della creazione nel grembo di una madre, così come accade nella bellezza e nell’armonia della natura. A riguardo egli scriverà: “Così come un essere umano è concepito di ossa e di carne, anche il mondo ha le rocce che tengono unite la terra, e così come l’uomo ha nel corpo il sangue e i polmoni che si sollevano e si abbassano, anche il corpo della terra ha le maree che si sollevano e si abbassano come se anch’esse respirassero”. Ecco come, l’immensamente grande e l’immensamente piccolo si svelano al suo sguardo e, superando tutte le strade intraprese dagli uomini fino ad allora, illuminano il mistero attraverso un Genio che, “So bene che…, io essere omo sanza lettere. … Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di che voglio trattare. Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d’altrui parola.”

Con questa pensiero nella mente Leonardo darà vita alla prima tavola anatomica di un corpo femminile di cui si abbia notizia (Figura 4). Si tratta di un grande disegno, che sviluppa in un quadro d’insieme l’anatomia di un corpo di donna, con in trasparenza la dislocazione degli organi interni. Disegno che, probabilmente, venne finito a Milano verso il 1509 in continuità, però, con gli studi di anatomia normale iniziati a Firenze. Dall’esame della figura si evince, con una chiarezza inequivocabile, il desiderio di Leonardo nel dimostrare le simmetrie esistenti tra la parte destra e sinistra del corpo, strettamente legate con la sua visione armonica che risiede nella struttura anatomica del corpo. Mediante un tracciato a carboncino egli disegna le parti principali della “geografia” del corpo, e dopo aver piegato il foglio verticalmente, fora nella metà destra solo le parti simmetriche – escludendo quindi, da questa pratica il fegato e il rene destro – che riporterà nell’altra metà del foglio tramite la tecnica dello “spolvero”, ovvero facendo passare della polvere nera attraverso i fori. Ripassando poi, a penna e inchiostro, l’impronta ottenuta, Leonardo disegna quindi, nella metà sinistra della tavola, le parti asimmetriche, quali: cuore, milza e rene sinistro. Un foratura, infine, delle parti asimmetriche di sinistra, unitamente ai fori precedentemente realizzati per la parte di destra gli consentiranno di utilizzare ulteriormente lo “spolvero” per trasferire il disegno, nella sua interezza, su di un altro foglio. Ed è con questo disegno, e tantissimi altri, che il concetto di armonia definisce la sua centralità; un’armonia ricercata e rilevata da Leonardo, consistente in un proporzionato rapporto tra le parti di un insieme, che rappresenta nel Rinascimento un concetto non solo estetico e scientifico, ma anche filosofico, che attiene all’anima e alle sue virtù.

Figure 4 – Anatomia del corpo femminile, 1507-1509 circa. RL 12281r

Figure 5 – Il feto nell’utero, 1509-1516 circa. Royal Library 19102r, Royal Library 19101r e Royal Library 19101v

Il feto nell’utero, unitamente all’anatomia del giovane muscoloso e del vecchio, rappresentano i tre punti d’interesse evidenziati da Leonardo in uno dei fogli dell’Anatomia A, nei quali così scriveva: “Comincia la tua anatomia all’omo perfetto, e poi lo fa vecchio e meno muscoloso, po’ va spogliando a gradi insino all’ossa. E ‘l putto farai poi colla dimostrazion della matrice.” In particolare gli studi embriologici da lui condotti, raccontati principalmente in tre fogli (Figura 5), databili 1509-1516, rappresentano il feto in posizione rannicchiata dentro l’utero ed evidenziano, attraverso esaustive note, il suo interesse verso i fenomeni metabolici e i flussi umorali di sangue, cibo e urina. In particolare Leonardo per l’analisi sulla placenta (organo che media gli scambi metabolici tra madre e feto, garantendo un ottimale passaggio di nutrienti e di ossigeno), utilizzerà quella di un bovino, e quindi in tal senso definirà un’immagine “ibrida”, nella quale si evidenziano le funzioni vitali comuni a tutti gli animali e quindi, come egli stesso dirà, considerando l’uomo “prima bestia tra gli animali”.

Analisi successive sulla dissezione del feto evidenzieranno gli organi interni con un particolare riguardo per il fegato che da una posizione pressoché centrale, andrà sempre più a spostarsi verso destra per dar spazio, come Leonardo avrà modo di dire, alla milza.

La straordinarietà dell’immediatezza delle sue tavole anatomiche risiede anche nell’uso pittorico della sanguigna o della matita rossa, capaci di restituire con grande incisività quanto nelle note espresso, a volte anche al di là delle note. L’immagine diventa con Leonardo bastante, autonoma, eloquente: principale.

Lo stesso Giorgio Vasari, “patriarca e padre della chiesa della nuova storia dell’arte”, ne “Le Vite” del 1568, scrivendo dei disegni anatomici di Leonardo, realizzati in collaborazione con Marcantonio della Torre, celebre anatonico veronese, dirà: “Attese dipoi, ma con maggior cura, alla notomia degli uomini, aiutato e scambievolmente aiutando in questo Messer Marcantonio della Torre, eccellente filosofo, che allora leggeva in Pavia, e scriveva in questa maniera: e fu de’ primi (come odo dire) che cominciò ad illustrare con la dottrina di Galeno le cose di medicina, e a dar vera luce alla notomia, fino a quel tempo involta in molte e grandissime tenebre d’ignoranza; ed in questo si servì maravigliosamente dell’ingegno, opera e mano di Lionardo, che ne fece un libro disegnato di matita rossa e tratteggiato di penna, che egli di sua mano scorticò e ritrasse con grandissima diligenza, dove egli fece tutte le ossature, ed a quelle congiunse poi con ordine tutti i nervi e coperse di muscoli; i primi appiccicati all’osso, ed i secondi che tengono il fermo, ed i terzi che muovono; ed in quegli a parte per parte di brutti caratteri scrisse lettere, che sono fatte con la mano mancina a rovescio; e chi non ha pratica a leggere, non l’intende, perché non si leggono se non con lo specchio”.

Gli studi di embriologia sul feto accompagneranno Leonardo anche dopo Milano, nel suo soggiorno romano al tempo di papa Leone X, con il supporto di Giuliano de’ Medici potente fratello del papa. Infatti in un foglio del Codice Atlantico (Figura 6), databile attorno al 1514-1515, Leonardo fa uno schizzo di un embrione umano chiuso all’interno dell’utero e avvolto da una serie di membrane, che in un secondo schizzo in basso, sono mostrate singolarmente, sfogliate come i petali di un fiore. In queste membrane uterine che circondano il feto sono presenti delle protuberanze, rappresentate a mezzo di puntini in uno dei due sintetici disegni, quali formazioni digitiformi incastrate le une nelle altre e già presenti nei più noti disegni del periodo milanese. Sono i cotiledoni, ovvero formazioni bottoniformi tipiche della placenta dei bovini, ma non dell’uomo. E da qui una conferma dei disegni “ibridi” di Leonardo.

Figure 6 – Studi di embriologia, 1514-1515 circa. Codice Atlantico f.313r

Il progetto leonardiano di una sintesi radicale tra arte e scienza fu, però, l’acme di un’epoca senza futuro. Questo perché negli anni successivi a Leonardo, gli artisti continueranno a studiare l’anatomia, ma con una funzione esclusivamente rivolta ad un fare artistico, mentre i medici, gli scienziati e gli anatomisti, ricorreranno agli artisti, alla stregua di “illustratori”, per utilizzarne la mano, funzionale ai loro trattati e studi. Ed è per questo che le Anatomie di Leonardo vanno considerate come un singolare, unico e straordinario luogo di congiungimento tra perizia scientifica e capolavoro artistico. Una perfetta sintesi che dà la misura del suo genio.

Dentro la stagione della sua vicenda artistica ed umana, Leonardo corre senza fiato alla ricerca del vero; vero a tal punto da odorare di carne, crocchiare di ossa, contorcersi o distendersi di muscoli, e con un agitarsi di pensieri ed istanze che costituiranno il senso e la sostanza di questo suo spasmodico desiderio di indagare l’Uomo “rischiando”, infine, di trovarlo. Egli affronta questa sfida della vita nell’ossimoro di un adolescente saggio, ed infinitamente curioso, avido di conoscenza ed inquieto per la molteplicità dei problemi che ombrano questo suo obiettivo di svelamento: questo toccamento elettivo tra la natura di un pensiero privato e la sostanza di un corpo universale: tempio di un mistero non già pienamente risolto, come emblematicamente accade nella sua celeberrima Monna Lisa, il cui indecifrabile sorriso ci porta con la mente pienamente dentro le parole di Dimitri Mereskovskij che, nel suo “Leonardo da Vinci”, così scrive: “Leonardo ricordava la madre come attraverso un sogno; ricordava specialmente il suo sorriso tenero, inafferrabile, un po’ malizioso, stranissimo in quel volto di donna semplice, triste e severo, bello, ma quasi rude.”

Ecco un Leonardo, ormai maturo, che da sempre ha nutrito il desiderio di creare il ritratto perfetto della maternità, come di qualcosa che dall’altra parte, da figlio, la vita gli ha impedito di vivere nella pienezza della vicinanza e dell’amore con la madre, dalla quale si allontanerà in tenera età, come leggiamo in un’annotazione fatta di pugno dal nonno, Antonio da Vinci, sul registro dell’anno 1457 dell’Archivio di Stato della città di Firenze: “Leonardo, figlio del primogenito Piero, non legittimo, nato da lui e da Caterina, ora donna di Accattabriga di Piero del Vacca, di anni cinque.” Il ritratto ideale, il mistero fisico della maternità, indagato nelle anatomie, diventa ora psicologico ed emotivo, intimo e quasi “sacro” per Leonardo e, forse, racchiuso nella fisicità infinitamente reale della donna che, con un sottile guarnello puerperale indossato nell’Italia del Rinascimento dalle donne incinta o che avevano da poco partorito, porta il nome, universalmente conosciuto, de La Gioconda.

Leonardo; Uomo di ossa, di segno, di colore, di pensiero, di ingegno, di profondità, di cielo.

Catania, venerdì 31 maggio 2019

            INDICE DELLE FIGURE

  • Figura 1 – Anonimo artista fiorentino, ante 1478, dal manoscritto di Lorenzo da Bisticci con l’Anathomia di Mondino de’ Liuzzi
  • Figura 2 – L’uomo zodiacale, dopo il 1417, di Jean e Paul Limbourg
  • Figura 3 – Albero delle vene, 1480-1482 circa. Royal Library 12597r
  • Figura 4 – Anatomia del corpo femminile, 1507-1509 circa. Royal Library 12281r
  • Figura 5 – Il feto nell’utero, 1509-1516 circa. Royal Library 19102r, Royal Library 19101r e Royal Library 19101v
  • Figura 6 – Studi di embriologia, 1514-1515 circa. Codice Atlantico f.313r

            BIBLIOGRAFIA

  • Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Enaudi, 2015
  • Paolo Giovio, Vita di Leonardo, 1523-1527
  • Dimitri Mereskovskij, Leonardo da Vinci, Giunti, 2005
  • Domenico Laurenza, Leonardo – L’anatomia, Giunti, 2009
  • Maria Pia Donato, Anatomia, autopsia, sectio: problemi di fonti e di metodo
  • Leonardo da Vinci, L’uomo e la natura, Feltrinelli, 2018
  • Leonardo da Vinci, Scritti, Mursia, 1992
  • Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, Newton, 1996