Bandiere sulle torri

Questa storia ha inizio verso la fine del primo piano quinquennale.

L’inverno era passato lasciando qua e là croste di ghiaccio, celate al sole da detriti d’ogni specie, polvere di paglia, sedimenti di fango e di concime.

Nella piazza davanti alla stazione i ciottoli si scaldavano al sole e piccoli nugoli di polvere s’alzavano dietro le ruote dalla terra asciutta.

Nel giardinetto incolto in mezzo alla piazza, dove d’estate gli arbusti si riempiono di foglie fino a formare quasi un paesaggio di campagna, c’era ancora un’aria d’abbandono e i rami nudi tremavano quasi fosse autunno e non primavera. Dalla piazza si allungava verso il paese una via lastricata, un paese piccolo piccolo, che si trova per caso sulla carta geografica, e che molti non conoscerebbero neppure di nome se non dovessero cambiar treno alla sua stazione.

Sulla piazza si levavano delle baracche costruite nel primo periodo della Nep. In un angolo, appartato, l’ufficio postale, con sull’ingresso un’insegna gialla sgargiante. C’era poco movimento: in gran parte ferrovieri con lanterne, rotoli di corda in spalla e il fagotto delle banderuole. Una fila di viaggiatori in attesa, per lo più contadini, sedeva per terra, appoggiata al muro della stazione, dove batteva il sole.[1]

Così inizia il romanzo Bandiere sulle torri (Flagi na bašnjach), prosecuzione dell’esperiza pedagogica, educativa e organizzativa delle precedenti colonie Gor’kij e Kurjaž, governatorato di Poltava. La collocazione della colonia Primo maggio è a Char’kov, importante città industriale dell’Ucraina. Makarenko allarga il proprio orizzonte operativo, assumendo la fabbrica come sede in cui costruire e praticare il collettivo pedagogico. Si tratta quindi di un sostanziale passo in avanti e superamento dell’esperienza precedente. L’intento non è più il recupero, la rieducazione e l’inserimento sociale dei besprizornye, ma l’attività pedagogica s’intreccia con la situazione politica, con la collettivizzazione, con i piani quinquennali, con la lotta spietata alla controrivoluzione. Anche nel Poema pedagogico vi sono continui richiami alla realtà politico-economica dell’Unione Sovietica, ma i besprizornye guardano più all’orizzonte umano e personale che a quello strettamente politico. Bandiere sulle torri, in questo senso, contiene tutti gli elementi della narrativa propagandistica, tipica dell’epoca. Tacevano le voci di Boris Pasternak, Anna Achmatova, Boris Pilnjak, Isaak Babel’, Michail Bulgakov, Iosip Mandel’štam. Si alzavano le voci di Michail Šolochov, Alksej Tolstoj, Vera Panova, Konstantin Paustovskij, Il’ja Erenburg. La narrativa sovietica era interamente piegata alle esigenze del regime staliniano e partecipava alla lotta politica spietata che Iosip Vissarionovič Giugažvilij, per tutti Stalin, aveva imposto con pugno di ferro e subdoli inganni. Era iniziata la tragedia del comunismo. Ma questo aspetto Anton Semenovič Makarenko non poteva saperlo, anche se probabilmente si rendeva conto che qualcosa cominciava a non andare nella società sovietica alla fine degli anni Trenta.

Il segno narrativo è quello del Poema pedagogico, ma predominano i personaggi che affolleranno il volume fin dalle prime pagine.

E’ una delle caratteristiche ideologiche e artistiche più importanti di Makarenko che nella sua opera non si trovi traccia di stati d’animo o di mezzi espressivi romantici. Tutta la sua impresa, nel senso corrente del termine, è quanto di più romantico vi sia; ed è certo che scrittori minori tratterebbero la maggior parte dei personaggi e delle vicende con stile romantico. La grandezza di Makarenko consiste, non da ultimo, nel fatto che egli esamina sobriamente ogni fatto della vita, e sa in esso riconoscere con sguardo penetrante, sottolineare ed esaltare quei momenti che guardano effettivamente al futuro, nella direzione della costruzione socialista, del sorgere dell’uomo nuovo socialista, o quei fatti che ostacolano invece tale sviluppo. Il sobrio, ma attivo e incrollabile, ottimismo di Makarenko, che poggia sulle reali linee di sviluppo dell’umanità e non su vacui sogni utopistici, è assai significativo per delineare la fisionomia della sua opera, sotto l’aspetto pedagogico e letterario. Ma Makarenko tratta con ragazzi cosiddetti anormali, con vagabondi e delinquenti, e vuole farne normali uomini sovietici.[2]

Sono queste parole di György Lukács a precisare il valore letterario dell’opera di Makarenko. Anche se riferite al Poema pedagogico, nel corso della sua analisi, il critico ungherese fa riferimento anche a Bandiere sulle torri:

Nel suo secondo romanzo, Bandiere sulle torri, Makarenko descrive una festa in un’epoca a noi più vicina, quando la colonia si è ormai compiutamente sviluppata. Egli accompagna questa descrizione con le seguenti parole: «In una festa simile la gioia maggiore che si prova consiste in un trionfo della logica: appare evidente che non poteva essere altrimenti, che tutte le previsioni erano giuste, fondate sulla conoscenza, sull’intuizione dei veri valori e che non si trattava affatto di ottimismo, ma di una convinzione realistica, che era stata chiamato ottimismo per timidezza».[3]

Ma è ancora una volta Maksim Gor’kij a lasciare la sua traccia di maestro e di punto di riferimento letterario per questa seconda opera narrativa di Makarenko.

In disparte, tutto solo, Vanja Galčenko, un ragazzo sui dodici anni, se ne stava triste accanto alla sua cassetta di lustrascarpe socchiudendo gli occhi per via del sole. La cassetta era piuttosto fragile, ricavata da ritagli di tavole: si vedeva che Vanja l’aveva messa su con le proprie mani, e dentro c’era poca roba.[4]

Vanja Galčenko è il primo protagonista che entra in campo nella narrazione. Si tratta di un bambino che per vivere fa il lustrascarpe. La sua avventura inizia sul piazzale della stazione ferrovia e si conclude nella comune, naturale approdo per dare una dimensione nuova alla propria esistenza, dopo frustrazioni e truffe subite da parte di coetanei che si ritroveranno ugualmente alla colonia. Makarenko privilegia quindi i ragazzi, affronta di petto il mondo da cui provengono, descrive la realtà di degrado e di insicurezza in cui vivono. Si tratta di pagine molto belle dal punto di vista letterario che dimostrano l’abilità e la maestria narrativa dell’autore. Nello stesso tempo dimostrano la profonda conoscenza della realtà sociale, la sensibilità nel cogliere aspetti particolari nel paesaggio urbano e rurale, nella presentazione dei personaggi la cui psicologia è tratteggiata attraverso brevi cenni comportamentali, evitando descrizioni specifiche o dettagliate, divagazioni di varia natura.

Ecco entrare in scena il secondo protagonista, con atteggiamento tipico del bulletto, come si direbbe oggi, guligančik in russo. Sul piano narrativo si tratta di un procedimento originale e di notevole impatto sul lettore. La scena si svolge come se si trattasse di una sceneggiatura cinematografica, per cui l’effetto scenico è notevolissimo. Ancora una volta Makarenko privilegia i suoi piccoli eroi rispetto alla narrazione dell’esperienza pedagogica.

Altro colpo di teatro, si direbbe in gergo, riguarda il camuffamento del giovane, che si fa chiamare Černogorskij, rispetto alla propria identità: Igor’ Černjavin.

Era un ragazzo sui sedici anni, magro, lungo, con una bocca larga d’espressione tra beffarda e maligna e gli occhi allegri. Il vestito, per quanto vecchio, riusciva ancora a coprirlo ma, non avendo camicia, portava la giacca abbottonata fino all’ultimo occhiello, col bavero alzato. Sulla testa aveva un berrettino chiaro a scacchi.[5]

Igor’ Černjavin, giovane che ha lasciato la famiglia nella lontana Leningrado e girovaga per la Russia e l’Ucraina in cerca di un tozzo di pane e di un angolo dove trascorrere la notte. Vanja gli lustra le scarpe e, nonostante ciò, Igor’ lo aggredisce.

– Milord! Non mi fate perdere la pazienza! Forse non sapete che io sono Igor’ Černogorskij! – In realtà può darsi che il giovanotto non lo sapesse. Fatto sta che indietreggiò bruscamente e, una volta lontano, guardò con una certa paura Černogorskij.[6]

Nel secondo capitolo entra in scena la protagonista donna, Vanda Stadnitskaja, figura cruciale dell’intera narrazione ed esempio positivo di colonista e di comunarda.

Tra gli arbusti del giardinetto, sulla piazza della stazione, c’è una panchina traballante intorno alla quale è pieno di carta straccia, cicche, bucce di semi. Qui erano approdati da chissà dove il giovanotto di prima (Igor’ Černjavin, ovvero Černogorskij, Nda) e Vanda Stadnitskaja. Forse erano venuti dalla strada del paese o anche dal treno, ma è più probabile che fossero sbucati proprio dalle folte siepi del giardinetto. Vanda aveva le galosce ai piedi nudi, una vecchia gonna a quadretti e una giacca nera qua e là stinta che mostrava il fondo giallo. Era una ragazza molto carina, ma si capiva che nella sua vita dovevano esserci già state gravi sconfitte. I suoi capelli biondi non conoscevano da tempo il pettine e il sapone, anzi era anche difficile dire se fossero davvero biondi. Vanda si era abbandonata di peso sulla panchina e diceva con voce cupa, assonnata:

– Va’ al diavolo! Mi hai seccato. [7]

Subito dopo entra in scena Griška Ryžikov. Si tratta di una figura centrale nell’intera narrazione e attesta le difficoltà del processo rieducativo quando la personalità di un ragazzo è gravemente compromessa e gli istinti negativi prendono il sopravvento, sia attraverso azioni dirette sia mediante dissimulazioni.

Con una mano sulla spalliera della panchina e la testa china sul braccio, Vanda contemplava con lo sguardo tra sognante e disperato le bianche nuvole lontane. Poi, sistematasi più comodamente con la guancia sul panno della manica, si mise a guardare fissamente il groviglio degli arbusti nudi del giardinetto. In questa posizione rimase molto a lungo, finché non venne a sedersi accanto a lei Griška Ryžikov, un ragazzo dall’aria cupa, alquanto brutto, con la guancia segnata da una cicatrice ancora fresca. Era senza berretto, ma i capelli erano pettinati; portava inoltre calzoni nuovi di panno e una camicia logora, mezzo fradicia d’acqua. Allungate le gambe e come assorto nella contemplazione delle sue scarpine, le chiese: – Ti va di masticare qualcosa ?

Senza cambiare posizione, Vanda disse lentamente:

– Levati dai piedi.

Lui non replicò, ma non parve neanche offeso stettero seduti e in silenzio ancora per qualche istante, finché Ryžikov non si stancarono le gambe. Si girò allora bruscamente sulla panchina e una moneta da venti copechi e due da cinque caddero a terra. Senza fretta Ryžikov le raccolse e le dispose sul palmo.

– Sono tue ?

Fece rimbalzare a più riprese le monete sulla mano, poi disse pensieroso:

– Tre polpette di carne…

E continuando a far saltare le monete sul palmo della mano si avviò a passi lenti verso la stazione.[8]

A questo punto della narrazione, i quattro ragazzi si riuniscono e cominciano le prime avventure del vagabondare per sopravvivere. Ma il carattere di Ryžikov si manifesta in tutta la sua negatività, riuscendo a derubare i compagni di viaggio e a fuggire, senza provare il minimo rimorso. Nel racconto, oltre ai richiami stilistici e letterari riferiti a Gor’kij, viene in mente la tecnica narrativa e alcuni personaggi di Mark Twain, autore che Makarenko apprezzava e di cui avevo letto le opere disponibili nella Russia del tempo. Il vagabondaggio porta i quattro ragazzi a compiere azioni di mera sopravvivenza, tra espedienti, furti, truffe. Quella che attua Igor’ Černjavin all’ufficio postale ha qualcosa di ingegnoso, per riscuote cento rubli inviatigli da una falsa babuška, improbabile nonnina del fantasioso ragazzo truffatore. Soltanto che i cento rubli saranno rubati da Griška Ryžikov. I ragazzi si dividono. A questo punto, la chiave di volta della narrazione è Vanja Galčenko, che, avendo sentito parlare della vicina colonia per besprizornye, cerca disperatamente di farsi inviare dalle strutture pubbliche. Makarenko affronta ancora una volta le disfunzioni burocratiche e l’arroganza della pedagogia ufficiale e lo fa con acume narrativo gradevolissimo, superando di gran lunga gli analoghi attacchi all’Olimpo pedagogico. Vanja decide autonomamente di trovare soccorso nella colonia e fa il diavolo a quattro per esservi inviato dalle strutture preposte. Lo stesso aveva fatto Igor’ Černjavin. Ma non ci riesce. Il suo arrivo alla colonia è legato a un fatto fortuito.

Fu qui, alla stazione, che Vanja si addormentò seduto sul divano. L’agente non lo disturbò finché sul divano di fronte ci furono due soldati. Ma al mattino, quando alla fine si svegliò, i soldati non c’erano più. L’agente lo guardava in silenzio, e Vanja, senza parlare, capì che bisognava andar via. Si trascinò verso la via principale, voleva vedere che cosa succedeva ora davanti agli uffici dell’Istruzione Poplare e, inoltre, aveva deciso di riandare al Prosogim per la questione della colonia Primo maggio.

Vanja camminava con passo svelto e di cattivo umore. L’uomo del Prosogin[9], dal suo tavolo in fondo alla stanza, gettava sulla sua vita un’ombra abbastanza cupa.

Da un negozio uscì un ragazzo che aveva in testa un berretto fregiato in oro: era Volodja Begunok. Il berretto con i fregi, il monogramma applicato alla manica ed i vivaci occhi scuri attrassero talmente l’attenzione di Vanja che egli si fermò, appoggiandosi alla gabbia di legno che cingeva un alberello.[10]

Il dialogo che si avvia tra i due ragazzi è banale, ma apre le porte al futuro.

Vanja fece un sorriso di cortesia. In fin dei conti aveva da pensare a cose molto più serie.

– Sei chilometri ?

– Laggiù… – e Volodja indicò lontano, – alla colonia Primo maggio.

Vanja esclamò sbalordito.

– Primo maggio ? Sei della colonia Primo maggio ? Aah! – Vanja non stava più in sé dalla gioia e rideva. Volodja sorrise, fiero di appartenere a una istituzione così rinomata.

– Sì, sono della colonia. C’è anche sulla divisa, vedi ?

Volodja sollevò il gomito. Sulla manica, sopra un piccolo rombo di velluto era ricamato in oro il numero 1 e in argento, scritta attraverso il numero la parola Maggio.

– E dire che io…

– Sei un ragazzo abbandonato ?

– No. E’ tanto che cerco… Ma niente, nessuno mi manda alla colonia.[11]

Si entra così nel pieno della colonia Primo maggio, senza enfasi e soprattutto con sincero sentimento. La struttura narrativa è un passo avanti rispetto allo stesso Poema pedagogico. Si presenta come una efficace sceneggiatura cinematografica. Si entra stando dalla parte di ragazzi. Come si è visto, la voce narrante è quella di Makarenko, tanto che nel romanzo adotta uno pseudonimo per descrivere il direttore della colonia, quello di Aleksej Stepanovič Zacharov. S’incontrano i ragazzi dalla più svariata origine e provenienza, ma di ciascuno si tratteggia il carattere, non si parla mai del passato. Quello che conta è la prospettiva. Se Vanja Galčenko è un modello che richiama alla mente la figura dello sciuscià napoletano nell’omonimo film di Roberto Rossellini, Igor’ Černjavin è uno sberleffo ai metodi burocratici per comprendere attitudini. Il capitolo Caproni dovrebbe essere letto oggi da molti psicologi e pedagogisti per la modernità del metodo. Il contrasto tra le generazioni emerge anche in Bandiere sulle torri e la figura di Solomon Davidovič Blum ne è l’emblema. Celebre la sua frase: «Vale più un cane vivo che dieci leoni morti».[12] C’è una dettagliata descrizione dell’apprendistato dei colonisti, la spiegazione pratica e letterariamente vivace di come si affrontano e si superano le difficoltà e le resistenze dei ragazzi nei confronti del lavoro. La disciplina necessaria per affrontare una prova, lo spirito di emulazione, il trovarsi insieme nei reparti sulla base delle indicazioni e delle scelte del Consiglio dei Comandanti, fa superare ostacoli altrimenti insormontabili, soprattutto di natura psicologica.

La riunione del Consiglio dei Comandanti per decidere la sorte di Igor’ Cernjavin e l’ammissione di Vanja Galčenko è un ottima prova narrativa, degna delle pagine più intense e poetiche del Poema pedagogico.

Tutto concorre alla formazione dell’uomo nuovo, come esplicitato splendidamente nell’apposito capitolo.[13] Vi concorrono la lettura dei classici, il teatro, la musica, il cinema. Le letture preferite riguardano I partigiani, Otello di William Shakespeare, L’isola misteriosa. Le musiche eseguite dalla banda della colonia vanno dalla Vesnjanka di Lysenko, alla marcia di Carmen di Georges Bizet, a molti canti popolari, unitamente agli squilli di tromba suonati di volta in volta per scandire gli orari della colonia. I ragazzi sono impegnati a preparare rappresentazioni teatrali, a cui partecipano anche gli abitanti dei villaggi vicini, privilegiando I partigiani e Boris Godunov di Aleksandr Puškin, di cui si recita il monologo dello zar. Anche le riviste non sono trascurate, per cui si apprende che la biblioteca è dotata di Ogonëk e Pionerskaja pravda. La Marcia ungherese dell’opera Faust di Charles Gounod, la Rapsodia n. 2 di Férénc Liszt, Schizzi caucasici di Michail Ippolitov-Ivanov, la danza popolare Gopak di Modest Musorgskij sono composizioni musicali molto famose che vengono eseguite dalla banda nella casa dell’Armata Rossa, riscuotendo l’ammirazione del pubblico.[14] Non c’è soltanto la rigida disciplina nella colonia, ma anche spazio per il divertimento e la creatività artistica.

La strada verso il successo non è sempre piana. Griska Ryzikov è l’esempio più illuminante. Lo stesso Lukacs rileva con acume che l’opera pedagogica e rieducativa «non avviene senza crisi e ricadute: educare ragazzi inselvatichiti, e anormali allo stile della colonia Gor’kij significa ricorrere spesso a vecchi sistemi» Il riferimento è alle maniere forti impiegate da Makarenko, che, dato uno schiaffo a un ragazzo, subito si pente. «Tuttavia, prosegue Lukács, più le tradizioni della colonia si consolidano in una costante e vivace operosità, tanto meno questo ricorso diviene necessario (Il tono del secondo romanzo di Makarenko, Bandiere sulle torri, è caratterizzato da questo mutamento qualitativo)».[15]

Molto efficace, poetica e intimamente delicata è la descrizione dell’amicizia tra due ragazze, quella Vanda che è apparsa all’inizio del romanzo e Oksana, una bracciante che sarà ammessa successivamente nella colonia, di cui è innamorato Igor’.

Vanda si sposa con Pëtr, un bravo colonista che la porta a vivere in città a casa della madre. Il ritorno alla colonia per salutare i ragazzi, dopo il matrimonio, è uno dei passaggi più riusciti del romanzo. Non a caso è intitolato Grazie per tutta la vita.[16]

Vi sono situazioni, soprattutto nel secondo volume, che presentano i caratteri del romanzo poliziesco, come l’episodio raccontato nel capitolo La sconfitta della colonia.[17]

Ci si avvia rapidamente verso la conclusione della narrazione. I successi nella produzione, il conseguimento degli obiettivi del piano, il loro raddoppio, un ricavato economico consistente, l’aiuto del Soviet locale portano all’elaborazione del progetto di ampliamento della fabbrica, con lo scopo di ospitare nella colonia fino a duecento ragazzi. Quando la nuova fabbrica è ultimata, nonostante difficoltà, incomprensioni con i tecnici e le maestranze, sul tetto vengono alzate le bandiere. Ma giunge la terribile notizia dell’assassinio di Sergej Kirov che Oksana comunica durante la riunione del Consiglio dei comandanti. Si tratta di una pagina a dire il vero molto enfatica e che oggi suona falsa. Ma è rivelatrice del clima che esisteva all’interno della colonia, in cui gli aspetti politici si intrecciavano a quelli pedagogici e strettamente produttivi. Le bandiere non sono soltanto quelle issate sul tetto della nuova fabbrica, emblema di conquista e di entusiasmo, di impegno e di passione, ma anche quelle che idealmente vengono issate sulle città dell’URSS per combattere i nemici interni ed esterni del socialismo. Siamo all’inizio della repressione staliniana che provocherà milioni di morti e decimerà lo stesso Partito Comunista dell’Unione Sovietica di molti dei suoi quadri migliori. Ma questo Aleksej Stepanovič Zacharov, ovvero Anton Semenovič Makarenko, non poteva saperlo. Il comunicato della colonia è una testimonianza terribile del clima che si andava instaurando:

Il nemico ha abbandonato le mura della città nuova. I nostri reparti sono entrati nella città su tutta la linea del fronte. Le nostre bandiere rosse sventolano su tutte le torri. Le ultime forze nemiche cercano di barricarsi nella zona delle costruzioni, si nascondono tra le botti e le casse, sotto le impalcature e tra il calcinaccio. Una parte cerca di difendersi nel vecchio stadio. Il Consiglio dei comandanti ha deciso che vengano snidati dal loro ultimo rifugio durante il mese di settembre, affinché per la festa del sette novembre non rimanga nella colonia un solo nemico.[18]

Chi sono i nemici che bisogna snidare e annientare e che si nascondono nel vecchio stadio ? Sono tecnici e maestranze che non comprendono l’entusiasmo al fare, che pongono difficoltà nel realizzare una cosa, molto spesso giuste perché nascono dall’esperienza, alcuni abitanti dei villaggi vicini che guardano con sospetto ai successi della produzione economica nelle fabbriche della colonia. Ed ecco il finale di tutta la narrazione, vero e proprio riepilogo programmatico e ideologico dell’esperienza della colonia Primo maggio.

La nostra fabbrica significa armi, significa lotta, significa uomini nuovi, uomini che non cederanno e non perdoneranno. Nesterenko si trova ora in una fabbrica di aeroplani, Kolos all’università, Miša al volante di un’automobile: nessuno vorrà più essere uno schiavo. E noi ricorderemo questa giornata. Non ho altro da dirvi; solo voglio che questo giorno sia come un allarme e che questo segnale rimanga per sempre nelle nostre orecchie. Propongo che fino al momento del funerale del compagno Kirov, la nostra bandiera rimanga qui vicino al busto di Stalin (che risulterà al XX congresso del Pcus nel 1956 essere stato l’organizzatore e il mandante dell’assassinio di Kirov, Nda), così chinata, e che noi pure le rimaniamo accanto, con il fucile. Ogni colonista ricorderà la guardia fatta accanto alla bandiera.

Per due giorni la bandiera della colonia Primo maggio rimase nella sala, e giorno e notte due sentinelle si davano il cambio ogni quindici minuti davanti ad essa. Rimanevano immobili, con il fucile alto, nella loro divisa di parata, senza il colletto bianco, in segno di lutto. E fino a notte inoltrata restavano i colonisti sul divano interminabile, nel club della quiete, mentre i ragazzini sedevano sui gradini sotto il busto di Stalin e parlavano sottovoce.

Quando la bandiera venne portata via dal club della quiete, quando tornarono a sventolare, alte, le bandiere in cima alle torri, i colonisti si lanciarono con rinnovata passione, e con nuova tenacia e intelligenza verso le macchine e i banchi della scuola, nella severa disciplina del loro collettivo. Continuavano ad avanzare, guardandosi attorno, a destra e a sinistra, e il loro sguardo giungeva lontano, dove, tra orizzonti nebbiosi di terre e paesi, avanzava insieme con loro il grande fronte del progresso socialista.

La vita continua e continua la lotta. Anche la gioia continua, frutto di una conquista, e continua l’amore. Igor’ Černjagin, la cui bocca non esprime ormai solo ironia, ma anche forza, Igor’ Černjagin cammina e nella sua mano tiene quella di Oxana. E lo stesso è di Vanda Stadnitskaja, moglie e madre, operaia d’assalto della fabbrica, che ormai sorride al ricordo dei guai passati. Vanja Galčenko e tutta la quarta brigata, la gloriosa e invincibile quarta brigata, fanno risuonare la terra col loro passo vivace. E a lato marciano gli altri reparti, i potenti reparti dei lavoratori dell’URSS, gli storici reparti degli anni Trenta.[19]

Come si vede, è un documento di perfetta retorica da realismo socialista, come chiedeva il teorico e l’ideologo Andrej Ždanov. La scena descritta fa venire in mente la pittura di Pëtr Končalovskij, Sergej Gerassimov, Isaak Brodskij, Robert Fal’k, Aleksandr Dejneka, Jurij Pimenov e tantissimi altri, la scultura Rabočij i cholkosjanka (Operaio e contadina) di Vera Muchina, uno dei simboli di quella corrente del linguaggio artistico che, tra tanta paccottiglia propagandistica e trionfalistica, è riuscita a produrre alcune opere di sicura validità, a cominciare dal grande cinema di Sergej Ejzenštejn e di Aleksandr Rodčenko.

A dispetto della grande tragedia del comunismo staliniano, «Bandiere sulle torri è un ottimo romanzo e a questo riguardo non pone alcun problema», conclude György Lukács.[20]

Oggi queste pagine si leggono con un miscuglio di tristezza e di nostalgia per una fase storica ricca di speranze e di illusioni, che si era aperta con la Rivoluzione d’ottobre, e che la follia di uomini come Stalin ha tradotto nella tragedia delle terribili persecuzioni e dei gulag.[21] Nonostante ciò Makarenko continua ad esercitare il suo fascino, legato all’esperienza del collettivo pedagogico, come strumento positivo per contribuire a combattere la violenza degli uomini e l’ingiuria del tempo sui più deboli: i bambini e i ragazzi di ieri e di oggi.

Agostino Bagnato

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[1] Cfr. Anton Semenovič Makarenko, Bandiere sulle torri, traduzione di Leonardo Laghezza, II voll., Editori Riuniti, Roma 1955. La citazione si riferisce al vol. I, pp. 15-16. In copertina sono riprodotti due disegni di Renzo Vespignani,. L’introduzione è dello stesso Makarenko.

[2] Cfr. György Lukács, La letteratura sovietica, Editori Riuniti, Roma 1956, pp. 182-183.

[3] Cfr. G. Lukács, op. cit., p. 187.

[4] Cfr. A. S. Makarenko, op. cit., p. 16.

[5] Ibidem, vol. I, pp. 17-18.

[6] Ibidem, vol. I, p. 19

[7] Ibidem, vol. I, p. 23

[8] Ibidem, vol. I, pp. 24-25.

[9] Struttura per l’assistenza all’infanzia.

[10] Ibidem, vol. I, pp. 117-118.

[11] Ibidem, vol. I, pp. 118-119

[12] Ibidem, vol- I, p. 178

[13] Ibidem, vol. I, pp. 243 e sgg.

[14] Ibidem, vol. I, pp. 229 e sgg.

[15] Cfr. G. Lukács, op. cit. p. 217.

[16] Ibidem, vol. II, pp. 359 e sgg.

[17] Ibidem, vol. II, p. 305

[18] Ibidem, vol. II, p. 380

[19] Ibidem, vol. II, pp. 437-438.

[20] Cfr. G. Lukács, op. cit., p. 218.

[21] Abbreviazione di Gosudarstvennoe upravlenie lagerej (Direzione statale dei campi di concentramento), divenuta universalmente nota dopo la pubblicazione nel 1974 del romanzo Arkipelag Gulag (Arcipelago Gulag) di Aleksandr Solzenicyn.

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