Armida Corridori
Léonard de Vinci, miroir profond et sombre,
Où des anges charmants, avec un doux souris
Tout chargé de mystère, apparaissent à l’ombre
Des glaciers et des pins qui ferment leur pays…
Charles Baudelaire
Les Fleurs du Mal
SERGEJ DRONOV, Omaggio a Leonardo. Matelda ovvero Donna sull’acqua, 2019 (da un disegno di Leonardo del 1518), olio su tela, 40×40
PREMESSA
Il tempo di Leonardo da Vinci è molto complesso. Sono gli anni del trapasso dal Medio Evo all’epoca moderna che prende il via con la scoperta dell’America il 12 ottobre 1492. Due anni dopo Carlo VIII varca le Alpi e scende in Italia, chiamato da Ludovico il Moro per difendersi dall’aggressione di Alfonso d’Aragona, nuovo re di Napoli, con il sostegno del papa. Entra senza combattimenti a Firenze, Roma, Napoli. L’intervento a difesa di Milano si rivela ben presto per quello che è un pretesto: riottenere il regno di Napoli, detenuto dagli Aragonesi, dopo il crollo angioino. Salta così l’equilibrio della pace di Lodi del 1454 che ha assicurato all’Italia un periodo di stabilità e di pace. E’ guerra aperta tra le diverse Signorie e si arriva addirittura a invocare l’intervento del Sultano contro Venezia. Le scorribande di Cesare Borgia seguono il successivo ingresso in Italia di Luigi XII e la fine della dinastia degli Sforza sulla Lombardia.
Luca Pacioli matematico
Leonardo da Vinci è testimone di quel tempo e uno dei principali protagonisti sul piano artistico e culturale. Anche sul terreno dello sviluppo del pensiero e dell’elaborazione filosofica Leonardo è stato attento osservatore e in parte anche partecipe.
Egli è stato un ciclope tra giganti. Ed ha lasciato una traccia indelebile che a distanza di Cinquecento anni dalla morte continua a stupire e a suscitare studi, indagini, ricerche.
Le celebrazioni di questo straordinario evento lo dimostrano. Compreso quelle sul piano dell’indagine filosofica e dello sviluppo delle idee che portò alla riforma luterana ed alla rottura dell’unità dei cristiani nell’Europa centro-settentrionale.
Come scriverà Charles Baudelaire, Leonardo è un «miroir profond et sombre».
QUADRO STORICO GENERALE
Nei secoli XV e XVI si posero le basi della modernità. Questo è il significato che si può attribuire al concetto di Rinascimento: nascita di una nuova idea dell’uomo.
Questa nuova idea deriva da un crogiuolo di culture, ovvero come idea sincretista per l’amalgamarsi delle culture uscite dal Medioevo: quella cristiana, quella araba e quella ebraica. In verità finora non è stato abbastanza esplorato il rapporto tra la cultura cristiana maggioritaria e quella ebraica di minoranza.
Tra l’altro la storia dell’arte del Rinascimento è disseminata di rimandi: la Nascita della Vergine di Vittore Carpaccio, la Sacra famiglia e la famiglia del Battista di Andrea Mantegna, la pala Elia e Eliseo del Sassetta, solo per fare qualche esempio.
In questi quadri sono presenti elementi ebraici. Va ricordato come impaziente di conoscere i segreti della mistica ebraica, Pico della Mirandola abbia affidato a un ebreo convertito, Flavio Mitridate, poliglotta ed esperto di qabbalah, il compito di tradurre decine di manoscritti che aveva acquistato.
L’espulsione degli ebrei da tutti i territori spagnoli e portoghesi in seguito all’editto del 1492 svuoterà il Sud dell’Europa di una cultura presente da quasi 15 secoli, gran parte di loro affluirà in molte città italiane dove incontreranno gli ebrei italiani e gli askenaziti giunti dal Centro Europa.
Sono alfabetizzati, colti, intraprendenti, grazie anche al capitale finanziario ebraico è potuto nascere e prosperare un irripetibile laboratorio intellettuale e un ineguagliabile patrimonio artistico.
Erasmo da Rotterdam
La realtà dell’Europa, in questa epoca, è condizionata da nuovi problemi:
– viene espulsa dai mercati e dalle colonie orientali;
-é chiusa la via delle Indie e si riduce il commercio delle spezie.
L’ Europa deve imparare a fare da sé anche per la produzione dello zucchero e della seta; l’insieme di questo quadro fa emergere un volto complesso e contraddittorio: da un lato fiorente, dall’altro depresso, decadente e si approfondisce il solco tra ricchi e poveri.
A partire dalla fine del Quattrocento si accumulano eventi storici destinati a cambiare profondamente questa situazione e influire in modo decisivo sul corso successivo della storia, di cui occorre ricordarne almeno tre:
-la circumnavigazione dell’Africa, che stabilisce il contatto diretto tra Europa e Asia;
-la scoperta dell’America- che simbolicamente, è assunto ad inizio dell’era moderna;
-la Riforma protestante, che spezza l’unità religiosa dell’Europa.
Tutti questi avvenimenti impongono un’accelerazione brusca ai mutamenti che si erano andati accumulando.
Come conseguenza si crea un clima culturale nuovo, che rispecchia le esigenze della recente civiltà urbana e mercantile che tra il xiv e il xv secolo giunge a piena maturità.
La nuova cultura è figlia di una società radicalmente trasformata rispetto a quella del Medioevo, conseguente alle varie tecniche mercantili, finanziarie, industriali, agricole, militari e politiche che prendono il sopravvento.
Pietro Pomponazzi
Il movimento che, già dal Quattrocento, si fa interprete di questi cambiamenti di vita, com’è noto, si chiama significativamente Umanesimo e sarà seguito, nel Cinquecento, dal Rinascimento. Umanesimo e Rinascimento cercano di interpretare sul piano filosofico i cambiamenti della struttura sociale e politica, affermando una nuova immagine dell’uomo, più adeguata alle esigenze di una vita più attiva e industriosa.
Il tradizionale sapere delle scholae medioevali, con i suoi interessi prevalentemente metafisico-religiosi, la sua visione statica dell’uomo, l’atteggiamento contemplativo di fronte al mondo, appare ormai decisamente incapace di esprimere la nuova coscienza sociale.
Di conseguenza, gli Umanisti, alla ricerca di altri modelli culturali, rifiutano l’eredità medioevale e scelgono quella dell’antichità classica, vedendo nei suoi valori i propri valori. Si rende quindi necessaria anche una nuova organizzazione della cultura, che da monopolio quasi esclusivo della chiesa e degli ordini mendicanti, passa ora ai “laici”, ovvero alla borghesia cittadina.
In un primo momento l’Umanista appartiene alla classe dirigente della città e proviene dalle file dei mercanti, dei finanzieri, dei giuristi, ecc. In un secondo momento, l’Umanista si configura invece come un “professionista della penna” di varia estrazione sociale e al servizio di un signore.
Effetto rilevante di questa nuova organizzazione degli studi sono le Accademie, sul modello di quella ateniese fondata da Platone e di quelle ellenistiche. Tra le Accademie più famose vanno ricordate quella di Guarino Veronese ( 1370-1460) importante per la Pedagogia; l’Accademia fiorentina di tendenza platonica, diretta da Marsilio Ficino (1433-1499); quella romana, fondata da Pomponio Leto (1428-1497), a indirizzo archeologico-erudito; quella napoletana di Giovanni Pontano (1426-1503) a indirizzo letterario.
Giovanni Pico della Mirandola
L’UMANESIMO E LA NUOVA IMMAGINE DELL’UOMO
Nell’orazione De hominis dignitate (Sulla dignità dell’uomo), che può essere considerato il più compiuto manifesto dell’antropologia dell’Umanesimo e del Rinascimento, Pico della Mirandola (1463-1494) presenta l’uomo come «libero e sovrano artefice di se stesso», cioè come un essere dalla natura plastica e indeterminata e proprio per questo ha la possibilità di progettare se stesso. «Dopo che Dio ebbe creato gli uomini, li benedisse e li fece padroni di tutte le cose create e sovrani e signori assoluti di tutta la terra.»
Ancora Coluccio Salutati (1332-1406) in Sulla nobiltà delle leggi e della medicina: «lascio volentieri, senza invidia e senza contrasto, a te e a chi alza al cielo la pura speculazione, tutte le altre verità, purché mi si lasci la cognizione delle cose umane».
La frattura con il Medioevo risulta evidente, l’uomo non è più considerato come parte di un ordine cosmico già dato da riconoscere intellettualmente e seguire praticamente.
Non si deve credere però che i pensatori umanisti e rinascimentali contrapponessero l’uomo a Dio, essi si trovano all’interno di una visione filosofica che riconosce sia l’uomo che Dio, anzi nell’uomo «fabbro della propria sorte» riconosce l’immagine e il riflesso della potenza creatrice di Dio.
Cosi l’uomo dell’Umanesimo e del Rinascimento non mette in dubbio il suo rapporto con l’assoluto, né l’ordine divino del mondo, ma quando afferma la centralità e il valore del suo essere, e misura il mondo a partire da sé, apre una serie di problemi destinati a far esplodere la compattezza culturale su cui si era fondato il Medioevo.
Il tema della centralità dell’uomo e della dignità che occupa nell’universo è sottolineato nel Rinascimento anche dall’ampia diffusione del simbolo dell’homo ad circulum. Uno dei primi esempi di rappresentazione del tema è tardo medievale, l’uomo è rappresentato con la testa arrotondata a indicare la sua consonanza strutturale con il cielo e l’universo che lo circonda.
Coluccio Salutati
E’ probabile che l’autore avesse letto il Timeo di Platone, in cui il filosofo greco tenta di dare una spiegazione del corpo umano, sottolineando come la testa sia l’unica forma sferica del corpo umano e quindi ripeta in sè la forma del cosmo.
Questa formula iconografica resa celebre poi dal bellissimo disegno di Leonardo può essere analizzata oltre che in rapporto all’uomo di Vitruvio, anche secondo la sezione aurea creato dai Greci, rinato nel Rinascimento e diffusosi poi in tutte le epoche.
Va ricordato infine che Luca Pacioli (1445-1517) nel suo libro De divina proporzione(1498) ha studiato a fondo la sezione aurea, includendo splendidi disegni dei solidi geometrici a opera di Leonardo.
Come è noto, sul periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento è stata prodotta una letteratura critica sterminata ma gli studiosi non hanno raggiunto una definizione unanime sui caratteri di tale epoca.
La questione rimane complessa per il fatto che in questo periodo non vi è solo un mutamento del pensiero filosofico ma nella vita dell’uomo in tutti i suoi aspetti come già espresso. Infine le ricerche sull’Umanesimo e sul Rinascimento hanno preso un indirizzo prevalentemente analitico e settoriale e questo non aiuta a pervenire a una sintesi di carattere globale.
UMANESIMO
Il termine sembra sia stato usato per la prima volta dal filosofo e teologo tedesco Friedrich I. Niethammer (1766-1848) per indicare il settore degli studi classici in contrapposizione a quello delle discipline scientifiche.
Il termine humanista è nato verso la metà del Quattrocento per indicare gli insegnanti e i cultori di grammatica, retorica, poesia, storia e filosofia morale.
In verità già nel Trecento si parla di “studia humanitatis” e di “studia humaniora” con riferimento ad affermazioni di Cicerone e di Gellio, per indicare queste discipline.
Per gli autori latini menzionati, Humanitas significava gosso modo ciò che i Greci avevano espresso con il termine paideia, ossia l’educazione e la formazione dell’uomo.
Soprattutto a partire dalla seconda metà del Trecento e poi in misura sempre più crescente nei due secoli successivi, venne attribuito alle humanae litterae un valore grandissimo e l’antichità classica latina e greca diventa un paradigma per ciò che concerne le attività spirituali e in generale la cultura.
Attorno ai classici latini e greci e alla loro riscoperta nacque un grande fervore che si concretizzò ad esempio in un paziente lavoro di ricerca di testi nelle biblioteche. Viene riacquisita la conoscenza della lingua greca, favorita dalla caduta di Costantinopoli nel 1453 che aveva spinto dotti bizantini a emigrare in Italia.
Con il suo interesse per l’antico autentico, l’Umanesimo realizza per la prima volta l’atteggiamento della prospettiva storica, ovvero del distacco e dell’alterità dell’oggetto storico dal presente storiografico.
Senza la ricerca filologica non c’è propriamente parlando Umanesimo, la filologia assume pertanto una particolare valenza filosofica come recupero dell’autenticità storica di opere che la tradizione medievale aveva spesso modificato piegandole alla visione cristiana.
La filologia, attraverso il ritorno ai testi classici diventa strumento della riscoperta dei valori di impegno civile e per gli umanisti una base autorevole della loro legittimazione.
Il ritorno al testo originale per individuarvi il messaggio autentico riguarda anche i testi sacri. Le traduzioni nelle lingue “volgari” erano iniziate già nel Trecento con John Wycliffe (1330-1384), proseguiranno con Lutero e con la diffusione del protestantesimo.
L’opera di rinnovamento si lega al problema del linguaggio, è necessario dare parola al tempo presente e una parola potente quanto quella che risuona negli autori classici. La bellezza di quei testi-fondamento chiama a ridestare la forza espressiva del presente.
Non si dà idea se non nell’espressione linguistica e l’idea, nella forma linguistica è sempre anche immagine.
Quello del “pensare per immagini” ,ovvero della capacità di porre-immagine contestuale all’esercizio del pensare, è il fondamentale problema teoretico che il Rinascimento solleva.
Come già espresso, l’esigenza filologica non è pertanto un aspetto accidentale o formale dell’Umanesimo, ma gli è costitutiva.
Vanno segnalati tra gli altri diversi aspetti strettamente collegati tra loro:
-con la difesa dell’eloquenza classica si intende riportare la lingua genuina della classicità alla sua forma originaria;
– L’intento di scoprire falsificazioni documentarie o errate attribuzioni di opere scritte, come la donazione di Costantino ad opera di Lorenzo Valla;
– il tentativo di comprendere le figure dei letterati e dei filosofi in riferimento al loro mondo di appartenenza, nella loro lontananza cronologica.
Senza dubbio l’Umanesimo realizza questo compito in modo parziale o imperfetto ma lo lascia in eredità alla cultura moderna. Sarà l’Illuminismo settecentesco a compiere un passo decisivo che condurrà poi alla nascita dell’indagine storiografica moderna.
Niccolò Cusano
UMANESIMO E RINASCIMENTO
Per molto tempo i termini Umanesimo e Rinascimento sono stati usati come sinonimi, invece nella seconda metà dell’Ottocento, Georg Voigt (1827-1891) e Jacob Burckhardt (1818-1897) distinsero nettamente i due termini, considerando l’Umanesimo un momento essenzialmente filologico-letterario, il Rinascimento un momento filosofico-scientifico, basato su un nuovo modo di considerare l’uomo, la natura, Dio.
Nel Novecento, a partire dal filologo tedesco K. Burdach(1859-1936) si ritornò invece ad avvicinare i due termini, considerando l’Umanesimo come la prima parte del programma innovatore del Rinascimento.
Sempre nel XX secolo il punto di vista di Voigt e Burckhardt viene ripreso dallo studioso tedesco-statunitense Paul Oskar Kristeller (1905-1999) che elabora la tesi secondo cui gli umanisti sarebbero filologi, ma non filosofi, in quanto avrebbero trascurato il pensiero speculativo, ignorando le complesse elaborazioni dottrinali del Medioevo.
Di conseguenza solo l’aristotelismo rinnovato del Rinascimento, esprimerebbe le idee filosofiche dell’epoca.
Inoltre gli artisti del Rinascimento non andrebbero intesi nell’ottica del grande “genio creativo”, giudizio derivante da una visione romantica ottocentesca, ma come ottimi “artigiani”, la cui eccellenza deriva dal bagaglio di conoscenze tecniche (anatomia, prospettiva, meccanica) ritenuto indispensabile per una adeguata pratica della loro arte.
Infine, se l’astronomia e la fisica fecero progressi importanti, fu dovuto all’aggancio con la matematica e non al pensiero filosofico.
Una valutazione cosi riduttiva dell’Umanesimo venne respinta da altri studiosi, soprattutto da Eugenio Garin (1909-2004), secondo il quale gli umanisti, pur non avendo elaborato “cattedrali di idee” come la filosofia scolastica, avrebbero filosofato concretamente in relazione ai vari problemi antropologici, etici, politici, economici ecc.
Anzi, sostiene Garin, l’attenzione filologica ai problemi particolari costituisce appunto la nuova “filosofia”, ovvero il nuovo metodo che non va considerato come un aspetto secondario della cultura rinascimentale, ma proprio effettivo filosofare.
Pertanto nel loro umanesimo letterario è già implicito un umanesimo filosofico, le litterae vengono definite humanae in quanto forgiatrici di uomini veri, e le arti “liberali” in quanto forgiatrici di individui liberi.
Una delle caratteristiche salienti, come già ricordato, di questo nuovo modo di filosofare è il senso della storia e della dimensione storica con il relativo senso dell’oggettivazione dell’oggetto storicizzato ossia storicamente considerato.
Garin inoltre cala la nuova “filosofia” umanistica nella concreta realtà del momento della vita storica italiana, facendone una espressione della medesima cosi, da spiegare con ragioni socio-politiche la svolta subita dal pensiero dell’Umanesimo nella seconda metà del Quattrocento.
Il primo Umanesimo fu un’esaltazione della vita civile e dei problemi ad essa connessi, perchè legato alla libertà politica del momento. L’avvento poi delle Signorie e la fine delle libertà politiche repubblicane, trasformando i letterati in cortigiani, spinse la filosofia verso evasioni di carattere contemplativo-metafisico.
RINASCIMENTO
«Rinascimento» è un termine che, per merito di Jacob Burckhardt nell’opera dal titolo La cultura del Rinascimento in Italia (pubblicato a Basilea nel 1860) come categoria storiografica si è consolidato nell’Ottocento.
Secondo l’autore, il Rinascimento sarebbe un’età che vede nascere una nuova cultura opposta a quella medioevale e in questa avrebbe avuto un ruolo importante, ma non determinante in senso esclusivo, la reviviscenza del mondo antico.
Non potendo in questa sede dar conto del dibattito intercorso, si può concludere che se con l’Umanesimo si intende la presa di coscienza di una missione mediante le humanae litterae concepite come perfezionatrici della natura umana, esso arriva a coincidere con la Rinascita dello spirito dell’uomo: pertanto Umanesimo e Rinascimento sono due facce di un unico fenomeno.
Dal punto di vista cronologico l’Umanesimo e il Rinascimento occupano due secoli interi; il Quattrocento e il Cinquecento. I preludi vanno cercati però nel Trecento, ad esempio nella personalità di Francesco Petrarca (1304-1374). L’epilogo giunge fino ai primi decenni del Seicento, l’ultima grande figura di uomo del Rinascimento è Campanella.
In relazione ai contenuti filosofici, si può osservare che nel Quattrocento prevale il pensiero sull’uomo, mentre quello del Cinquecento si amplia, abbracciando anche la natura.
SCIENZA E RINASCIMENTO
L’affermarsi della civiltà urbano-borghese lo sviluppo della tecnica costituiscono la molla storico-sociale di quella che poi sarà la rivoluzione scientifica, la cultura tardo-scolastica e quella rinascimentale ne rappresentano le basi ideali.
Importante è l’eredità dell’occanismo, Ockham, Buridano, Alberto di Sassonia avevano espresso una critica serrata delle tesi aristoteliche, come quella sul movimento degli astri e avevano diffuso una mentalità empirica favorevole alle ricerche naturalistiche.
Ora se è vero che gli umanisti non avevano mostrato interesse per le ricerche fisiche, il Rinascimento, considerato nella sua globalità, ha predisposto il terreno storico-ideale da cui poi è germogliata la scienza.
Attraverso il principio del “ritorno all’antico” e della traduzione di molte opere scientifiche e filosofiche dell’antichità, la cultura rinascimentale ha permesso la conoscenza di dottrine e figure trascurate per secoli :
– la filosofia degli atomisti, in particolare di Democrito;
– le teorie eliocentriche dei pitagorici;
– gli studi di Archimede e di Erone;
– le ricerche e gli studi dell’età ellenistica.
In relazione alla filosofia, quella rinascimentale appare molto variegata, pur insistendo intorno a un nucleo di temi che sono il Neoplatonismo, l’Aristotelismo, il naturalismo che a volte si sovrappongono.
Tra le figure del Neoplatonismo va citato Niccolò Cusano (1401-1464) nella sua opera più nota, La dotta ignoranza (1440), muove da un’analisi delle possibilità conoscitive dell’uomo.
Se nell’uomo la conoscenza è limitata, quella divina, cioè la verità è infinita, quindi non se ne può avere conoscenza ma soltanto una “dotta ignoranza”, un sapere di non sapere.
Cusano è conosciuto soprattutto per la concezione cosmologica, anticipatrice di concetti importanti della rivoluzione copernicana.
Nega il geocentrismo, afferma l’infinità dell’universo e dei mondi, supera il dualismo del sistema aristotelico-tolemaico, sostiene l’omogeneità fra la terra e i corpi celesti e che l’universo sia popolato da forme di vita diverse da quelle conosciute.
Nell’universo la realtà divina si spazializza nelle forme della pluralità: l’unità diventa molteplicità secondo uno schema matematico che, seguendo il Platone del Timeo, Cusano considera come struttura dell’universo.
Dio ha creato le cose, la mente umana crea gli oggetti della propria conoscenza e in particolare gli enti matematici, mediante i quali è possibile interpretare l’esperienza e dare un significato razionale ai dati delle sensazioni.
Dal momento però che la struttura matematica creata dall’uomo non può essere identica a quella presente nell’universo, la conoscenza umana è sempre presumibile, mai certa. Ciò non toglie che l’uomo a livello conoscitivo è creatore come Dio lo è nell’ambito della realtà e che la visione del cosmo e la centralità dell’uomo in Cusano siano complementari.
Il rappresentante più importante del neoplatonismo italiano è Marsilio Ficino (1433-1499) che esprime una tendenza molto viva nella filosofia italiana del Rinascimento ossia il riferimento anche a fonti diverse da quelle platoniche come ad esempio la tradizione ermetica.
Nel 1462 fonda l’Accademia platonica fiorentina nella villa suburbana di Careggi offertagli da Cosimo il Vecchio de’ Medici, dove traduce in latino tutta l’opera di Platone, ma anche le Enneadi di Plotino.
Il pensiero ficiniano, espresso soprattutto nella Theologia platonica è una forma di Neoplatonismo cristianizzato da cui emergono quattro aspetti peculiari:
– la filosofia come “rivelazione”. E’ necessario disporre l’anima in modo che diventi intelletto e accolga la luce della rivelazione divina, pertanto l’attività filosofica coincide con la religione,
– L’anima come copula mundi. La struttura metafisica della realtà è una successione di cinque gradi decrescenti di perfezione. L’anima è quella del mondo, ma è anche quella ‘ dell’uomo che realizza la congiunzione tra razionalità e istinto, tra la natura angelica e la materia. Di conseguenza all’uomo spetta una funzione privilegiata che ne fa un essere unico e il centro dell’universo.
PICO DELLA MIRANDOLA (1463-1494)
Tenta la conciliazione di fedi e filosofie diverse, Platonismo, Aristotelismo, Cabala e religione, a tal fine invita a Firenze nel 1486 i maggiori studiosi del tempo per una imponente discussione comune, in preparazione della quale scrive e diffonde novecento tesi alle quali premette un Discorso sulla dignità dell’uomo che costituisce un vero e proprio manifesto paradigmatico del pensiero umanistico-rinascimentale.
Mentre tutte le creature sono ontologicamente determinate a essere quello che sono e non altro, l’uomo è l’unica creatura posta al confine di due mondi, con una natura costituita in modo da plasmarsi secondo la forma che sceglie.
L’uomo, unico essente creato al fine di ricrearsi; l’uomo, unica natura «alla ricerca di una continua rinascita» come afferma Maria Zambrano.
E’ evidente che ciò comporta il rovesciamento dell’impostazione etica classica, fondata su un’idea della natura dell’uomo che si è chiamati a porre in atto; «divieni ciò che sei» era “l’imperativo”; ora suona «divieni ciò che vuoi, che scegli di essere, o che senti di dovere».
Ma la libertà è dono tremendo, dal momento che in nessun modo sono predeterminabili i fini che con essa si possono perseguire. L’esserci umano è un puramente possibile e libertà significa di conseguenza pura apertura all’essere-possibile.
In relazione alla natura, nel Rinascimento si afferma una concezione secondo cui la natura costituisce il principio unico della realtà corretto dall’ammissione che, accanto e prima della natura c’è Dio come principio fondamentale.
Dio e natura tendono però a essere identificati, con l’affermazione di un panteismo più o meno palese in Cusano, Telesio, Bruno e Campanella.
La divinità con la quale viene identificata la natura è concepita come un principio razionale e non personale, ha leggi proprie, necessarie, regolari e prevedibili. Questa concezione prepara il terreno alla Rivoluzione scientifica.
L’ARISTOTELISMO RINASCIMENTALE
Se il centro geografico del Platonismo è Firenze, quello dell’Aristotelismo è Padova, dove il pensiero di Aristotele si studiava fin dal XIII secolo, basandosi sul commento del filosofo arabo Averroè e dove si erano scontrate le opposte correnti del tomismo e dell’averroismo.
Nel Quattrocento, grazie alla traduzione filologicamente più corretta dei testi originali, si stava scoprendo il “vero” Aristotele e i commentatori ritenuti più fedeli come Alessandro di Afrodisia (I-III sec. d.C) e Simplicio (VI sec. d.C.).
Messa da parte l’interpretazione di Tommaso d’Aquino, quella più “ortodossa”, che rimase patrimonio dei Domenicani e della Chiesa in generale, l’aristotelismo rinascimentale si divise in due filoni: averroisti e alessandristi.
– Gli averroisti sostenevano l’esistenza di un unico intelletto separato e quindi immortale, mentre l’individuo concreto è mortale;
– gli alessandristi consideravano l’individuo mortale e negavano l’esistenza di un intelletto separato e immortale.
Niente esiste o sopravvive al corpo, l’anima è una funzione dell’organismo pertanto legata in modo indissolubile a esso. Gli studi più recenti invece insistono sugli aspetti comuni ai due filoni, come una medesima mentalità naturalistica e razionalistica che vede nella natura il terreno privilegiato della filosofia e nella ragione, l’unico metodo della ricerca.
Un altro elemento comune è la radicale separazione tra fede e ragione a cui si collega la teoria della “doppia verità”. Significa che una medesima tesi può essere nello stesso tempo vera in filosofia e falsa in teologia e quindi uno stesso individuo, pur ritenendo vere talune dottrine come filosofo, potrebbe giudicarle errate come credente.
In conseguenza di tale dottrina, molti studiosi rinascimentali poterono difendersi, almeno in parte, dagli inquisitori ecclesiastici e professare con una certa libertà nuove dottrine, facilitando cosi il processo di laicizzazione della cultura.
LA DISPUTA TRA ARISTOTELICI E PLATONICI
In seguito alla riscoperta di Platone e al rinnovato interesse per Aristotele nasce un confronto molto acceso tra i sostenitori dell’uno o dell’altro filosofo.
Questa polemica manifesta in fin dei conti l’antagonismo tra due diversi interessi culturali:
– i platonici ponevano in primo piano l’esigenza della rinascita religiosa e nel platonismo considerato la sintesi di tutto il pensiero religioso dell’antichità, la condizione di questa rinascita;
– gli aristotelici tendevano alla rinascita della ricerca razionale e della filosofia naturale, pertanto il ritorno ad Aristotele era la condizione per la ripresa di una libera ricerca naturalistica.
La personalità più interessante tra gli aristotelici che insegnarono a Padova e a Bologna è Pietro Pomponazzi (1462-1525).
L’opera che suscitò le maggiori polemiche fu il De immortalitatae animae (1516) che si occupava di un tema ritenuto centrale per tutto il XVI secolo.
Dopo aver vagliato le opposte soluzioni di Averroè e di Tommaso d’Aquino, si era avvicinato alla posizione considerata “alessandrista”.
L’anima intellettiva è principio di intendere e volere immanente nell’uomo ed è capace di conoscere l’universale e il sovrasensibile. Tuttavia non è “intelligenza separata”, tant’è vero che non può conoscere se non mediante le immagini che le derivano dai sensi.
Di conseguenza l’anima non può strutturalmente fare a meno del corpo e va considerata una forma che nasce e perisce col corpo. Tuttavia, essendo l’anima il più nobile degli esseri materiali e trovandosi al confine con quelli immateriali, “profuma di immaterialità, anche se non in assoluto”.
Come è ovvio questa posizione suscitò una tempesta di polemiche, visto che il dogma dell’immortalità dell’anima era considerato da tutti assolutamente fondamentale.
In verità Pomponazzi voleva negare che l’immortalità dell’anima fosse «verità dimostrabile con sicurezza dalla ragione».
Che l’anima sia immortale è articolo di fede, e come tale, deve essere provato con gli strumenti della fede e non con altri argomenti. Ecco un chiaro esempio della teoria della “doppia verità”, in questo quadro va inserito il principio di naturalità, secondo cui tutti gli eventi senza eccezione alcuna possono essere spiegati sulla base di cause naturali e dell’esperienza anche se ammettono una spiegazione in base a verità soprannaturali.
La modernità di Pomponazzi, sta proprio nel cominciare a preferire all’autorità degli scritti di Aristotele, l’esperienza, quando questa sia contraria a quelli.
Oportet stare sensui ( l’importante è affidarsi al senso): l’esperienza e non Aristotele ha sempre ragione.
RINASCIMENTO E RIFORMA
Fin dalla metà del XV secolo la cultura umanista si diffonde anche nella Chiesa e genera un’aspirazione al rinnovamento sia della dottrina sia dell’istituzione ecclesiastica.
Già il platonismo rinascimentale aveva cercato di far rivivere l’originaria sapienza religiosa dell’umanità che vedeva sintetizzata in Platone e nella quale confluivano la speculazione orientale e quella greco-romana.
Ma la religione dei platonici del Rinascimento è una religione per dotti, non una autentica religione, è piuttosto una filosofia teologica. La riforma religiosa doveva essere invece un ritorno alle fonti del Cristianesimo in quanto tale, alla parola stessa di Cristo, alla verità rivelata nei Vangeli e nella Bibbia.
A questa esigenza si legò necessariamente un momento filologico: ripristinare i testi sacri nella loro purezza e genuinità. L’aspetto filologico-umanistico della riforma religiosa è rappresentato dalla figura di Erasmo da Rotterdam (1466-1536) che pose l’Umanesimo al servizio della Riforma e non ruppe con la Chiesa cattolica mentre Lutero travolse l’Umanesimo stesso e frantumò l’unità cristiana.
L’opera più famosa di Erasmo è l’Elogio della pazzia (1509) nella quale usa la satira e il sarcasmo per mettere a nudo la decadenza morale della società del suo tempo, in particolare della Chiesa.
Critica un cristianesimo ritualizzato che si è adattato a ogni esigenza mondana e vi contrappone la proposta di un cristianesimo che coinvolga completamente l’individuo in una “follia” simile alla tensione esistenziale dell’eros platonico.
Infine tesse l’elogio di coloro che abbandonano i loro beni per la fede, fino alla pazzia suprema, quella “follia della croce” che Cristo scelse per redimere l’uomo. Quando nel 1519 Lutero gli invia una lettera chiedendogli di pronunciarsi in favore della Riforma, Erasmo, pur approvando gran parte dei principi proposti da Lutero, si rifiuta.
Più tardi attaccherà apertamente la Riforma sul problema del libero arbitrio, scrivendo nel 1524 De libero arbitrio. Erasmo rivendica per l’uomo la libertà di scegliere se salvarsi o dannarsi. La salvezza è il frutto della collaborazione tra l’uomo e Dio, e in quanto umanista filosofo difende quella libertà senza la quale la dignità dell’uomo non ha più senso.
IL PENSIERO POLITICO RINASCIMENTALE
All’Umanesimo e al Rinascimento si collega l’esigenza di rinnovamento politico, occorre rinnovare l’uomo non solo nella sua individualità ma anche nella vita associata.
Come già accennato precedentemente, l’Italia di questa epoca, vive una crisi politica molto grave, innescata in particolare dalla discesa di Carlo VIII, re di Francia, nel 1494. E’ il tramonto del Medioevo, per citare Johan Huizinga.
Crolla il sistema di equilibrio stabilito tra gli Stati italiani con la pace di Lodi (1454) e la vita politica italiana sarà dominata dall’influenza delle grandi monarchie francese e spagnola.
Inoltre gli altri fattori di crisi sono:
– l’eredità della cattività avignonese che ridusse il prestigio e il potere reale del Papato;
– il sistema mercantile italiano è sottoposto a un processo di logoramento per l’avanzata dei Turchi in Oriente;
– il consolidamento degli apparati amministrativi e finanziari delle grandi monarchie europee riducono sempre di più la funzione di intermediazione dei mercanti e dei banchieri italiani. I fallimenti delle banche dei Bardi e dei Peruzzi ad esempio ne sono una conseguenza;
– dopo la scoperta dell’America si vanno aprendo nuove rotte marittime, che taglieranno fuori il Mediterraneo, riducendo ancora di più il ruolo del commercio italiano.
Parallelamente al manifestarsi di questa crisi, si assiste da parte dei ceti dominanti delle principali città italiane a un processo di ripiegamento verso l’interno, cioè la borghesia cittadina acquista terre, scopre il piacere di vivere in “villa” e gli Stati più importanti sono impegnati a costituire un dominio territoriale alle spalle dei meno potenti.
Un esempio di questa strategia è la politica perseguita da Venezia a partire dal XIV secolo. Infine con il passaggio alla Signoria, i rapporti sociali e politici tra le varie classi, non subiscono un mutamento sostanziale e lo Stato territoriale in generale, riproduce se non peggiora i limiti corporativi del particolarismo preesistente.
Questo processo di ripiegamento e di agglomerazione territoriale ha i suoi riflessi anche sul personale intellettuale che lavora nell’apparato amministrativo e diplomatico-molto competente da un punto di vista tecnico- del nuovo Stato signorile.
Questo personale, nella sua parte più vigile, avverte la contraddizione esistente tra la propria formazione cosmopolita e l’orizzonte politico e umano ristretto in cui è costretto a vivere.
Tra questi chi si impegnò più a fondo sia nell’analisi della crisi che nell’individuazione di nuove forme di vita associata fu Niccolò Machivelli (1469-1527), il primo ed il più grande dei pensatori politici dell’età moderna.
Egli nel tentativo di realizzare una comunità politica italiana unita da ricostruire, ritiene che questo obiettivo si possa realizzare con un ritorno alle origini della storia d’Italia che egli vede nella Roma repubblicana.
Il Principe, composto nel 1513, ma pubblicato postumo nel 1532, e i Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio(1513-1519), mostrano proprio l’unità di giudizio storico e politico che costituisce la caratteristica fondamentale di Machiavelli.
Niccolò Machiavelli
Egli parte dal presupposto che la politica debba essere del tutto indipendente dalla religione e dalla morale e fondarsi sulla verità effettuale. L’arte politica richiede che si guardi alla natura umana per quello che è e non per come dovrebbe essere.
Non bisogna immaginare repubbliche che non sono mai esistite (indirizzo utopistico, Moro e Campanella) ma considerare le condizioni concrete in cui si sviluppa l’azione politica.
Di qui i due caratteri principali che contraddistinguono l’attività di Machiavelli:
la ricerca dell’oggettività storica e il realismo politico. Nonostante l’instabilità degli eventi storici, Machiavelli non ritiene che le cose del mondo siano governate dalla fortuna o da Dio in modo che gli uomini non possano concorrere per correggerle.
Se cosi fosse, la libertà dell’uomo sarebbe nulla. La fortuna è arbitro della metà delle azioni umane e lascia governare agli uomini più o meno l’altra metà.
Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, scrive che gli uomini possono assecondare la fortuna e utilizzarla conoscendo le circostanze, dipende dall’uomo, dalla sua “virtù”.
Il termine “virtù” nel lessico di Machiavelli, perde ogni significato religioso e morale per assumere quello di capacità di controllo razionale degli eventi. La “fortuna”, si sostituisce alla “provvidenza” cristiana, elemento centrale nel mondo feudale, ne consegue che nella storia non tutto dipende dall’uomo ma dal caso.
Si apre la possibilità e la legittimità di controllarlo secondo la formula rinascimentale per la quale l’uomo è artefice del proprio destino.
Non c’è dubbio che nel trattato Il Principe sia presente l’innovazione maggiore che consiste nell’affermazione che la politica ha leggi proprie, indipendenti dalla morale comune e dalla religione.
Il discorso corrente in età umanistica, insisteva sull’importanza delle qualità morali. E’ chiaro che sarebbe desiderabile che il “principe” avesse tutte le virtù, ma quel che conta davvero è che sappia agire nell’interesse dello Stato.
La virtù del principe consiste nell’adattare la propria azione alla realtà in cui si colloca, tenendo conto della natura umana degli individui coinvolti, della situazione interna e internazionale, delle forze in campo, dei rapporti di forza e cosi via.
Il fine non può che essere la costruzione e la conservazione di uno Stato, dalla cui solidità dipendono la sicurezza, la prosperità e a volte la vita di intere comunità.
Per questo il principe può essere costretto a usare strumenti considerati “immorali” rispetto alla morale corrente il che non implica affatto che possa farlo per conseguire obiettivi particolari o personali.
Nonostante la serietà dell’analisi e delle proposte, è stata operata l’identificazione di machiavellismo e cinismo politico che in una certa misura sarà costruita e incoraggiata dalla Chiesa che inserirà nell‘Indice dei libri proibiti tutte le opere di Machiavelli.
FRANCESCO GUICCIARDINI (1483-1540)
Francesco Guicciardini
Nelle opere storiche, in particolare nei Ricordi politici e civili, mostra una prospettiva più individualistica rispetto a quella di Machiavelli. Egli considera la realtà politica dal punto di vista del suo “particulare”, cioè della sua condizione e del suo interesse personali.
Guicciardini come Machiavelli ritiene che l’uomo debba impegnarsi attivamente nella realtà politica, e affidarsi alla riflessione e all’esperienza per poter correggere, anche se non può deviare del tutto il corso degli eventi.
Per questo apprezza la fede, che produce la tenacia necessaria grazie alla quale l’uomo può trovare la via del successo tra mille impedimenti.
Resta però decisivo il ruolo della fortuna, cioè della pura casualità,senza alcun ordine provvidenziale che se pure esiste è per gli uomini impenetrabile.
Guicciardini ritiene che gli uomini siano per natura inclini al bene ma che a causa della loro fragilità, se ne discostino. Di conseguenza gli uomini cattivi sono più dei buoni, quindi il politico deve fidarsi dei pochi che conosce veramente. L’azione di governo deve saper mescolare con la debita proporzione severità e dolcezza, arte senza dubbio molto difficile.
Il politico ,infine, deve apparire ma anche essere, poiché alla lunga l’apparenza viene smascherata.
In conclusione si può affermare che è la stessa esigenza del successo a richiedere e giustificare una sostanza morale intrinseca dell’azione politica.
LEONARDO DA VINCI E IL SUO TEMPO (1452-1519)
Dopo aver presentato per sommi capi le correnti culturali e filosofiche e i profili di alcuni dei protagonisti più importanti dell’Umanesimo e del Rinascimento, non c’è dubbio che un posto speciale spetta a Leonardo da Vinci che rappresenta ancora oggi nell’immaginario collettivo, il genio rinascimentale per antonomasia.
Leonardo si colloca sul crinale tra due epoche in un tempo di profonda crisi e di trasformazione che sfoceranno, solo per fare un esempio, nella Riforma e quindi nella lacerazione della comunità etica e religiosa europea.
Leonardo vive già i primi momenti della manifestazione di questa crisi, affonda le sue radici in un certo umanesimo che non è quello filologico- letterario, ma spinto da una mente inquieta, quello dello scopritore e dell’innovatore.
Questo spirito era già presente: basti pensare a Filippo Brunelleschi, alle grandi innovazioni in campo artistico e architettonico come la cupola del Duomo di Firenze, alle botteghe artigiane, a cominciare da quella di Andrea Verrocchio frequentata dallo stesso Leonardo giovane.
E’ da sottolineare come uno dei grandi temi della filosofia dell’Umanesimo sia quello di porre in armonia, dare forma a elementi diversi e questa è materia che si ritrova nell’arte di Leonardo, nel quale arte e téchne coincidono, téchne nel significato greco del saper fare.
Come già esposto, nel Rinascimento si afferma una nuova visione della natura considerata principio unico della realtà, anche se corretto dal riconoscimento che prima della natura c’è Dio come principio fondamentale.
Angelo Poliziano
Per Leonardo la natura è al contempo oggetto di interesse artistico e sede di intervento tecnico. Ai suoi tempi, a Firenze, le “botteghe” degli artisti erano veri e propri laboratori, in cui l’apprendistato artistico era strettamente collegato sia agli apprendimenti scientifici che all’acquisizione di abilità manuali.
Da qui l’importanza della manualità che per Leonardo, considerato l’inventore del disegno tecnico, si collega all’esperienza posta esplicitamente in rapporto con la conoscenza scientifica, la separazione tra esperienza e ragione è un grave ostacolo alla conoscenza.
La ragione fornisce le osservazioni alla scienza che deve essere utile, la meccanica è il paradiso delle scienze matematiche. La mano umana nella tecnica di Leonardo non violenta la natura, la conosce e si accompagna alla centralità della figura umana, basti pensare al disegno dell’uomo vitruviano.
Come è noto, Leonardo si è occupato di moltissimi temi: il movimento dei solidi e dei liquidi, il fenomeno della visione, la meccanica del volo, l’energia dell’acqua e cosi via. Ancora, ruppe il tabù della inviolabilità del corpo umano, dopo una storia ultramillenaria in cui la dissezione a scopo conoscitivo era quasi sempre stata proibita.
Egli affronta lo studio del corpo umano come tutte le sue indagini sulla natura, ed è consapevole che l’illustrazione anatomica è uno strumento di ricerca, il modo in cui l’anatomista fa chiarezza nel caos delle strutture corporee per scoprire la perfezione della natura nella sua verità.
I suoi disegni straordinari per bellezza realizzati a Pavia, se fossero stati pubblicati ai suoi tempi, avrebbero innescato una rivoluzione.
Attraverso l’ osservazione delle rocce, si rende conto che quella è la via per studiare la storia della terra: tutto nel mondo è animato, in tutto si manifesta un ordine necessario, in questo ordine si può inserire l’uomo guidato dalla ragione.
Prima della nascita della “nuova scienza” matematica e meccanicistica, forse solo Leonardo ebbe chiara l’intuizione del nesso fondamentale esperienza-matematica nella ricerca scientifica.
Nei suoi appunti è presente l’affermazione che «la sapienza è figliola della sperienza» e quindi l’esaltazione delle arti meccaniche che consentono di entrare a diretto contatto con i processi naturali e ne rendono possibile la conoscenza.
Ma la natura è retta da ragioni, cioè leggi e sono ragioni necessarie, di necessità matematica, cioè leggi matematiche. Viene cosi posto il rapporto tra esperienza sensibile e conoscenza matematica che sola permette di raggiungere la conoscenza della “necessità”, cioè della legge che sottende i fenomeni naturali.
Al momento del suo presentarsi, la posizione di Leonardo rimarrà pressoché isolata, la connessione esperienza- matematica darà i suoi frutti nella fisica solo tra la fine del Cinquecento e il Seicento.
Per Leonardo l’arte non è solo natura che tratta dall’esterno la materia come sosteneva M. Ficino, ma ha una importante valenza conoscitiva. Se si deve conoscere qualcosa, occorre innanzi tutto saperla rappresentare adeguatamente, ma la rappresentazione non è un’imitazione fotografica, è un atto conoscitivo. In questo sta la forza della prospettiva nel pensiero dell’Umanesimo e del Rinascimento.
La pittura è un modo per accostarsi alla realtà, studiarla, fermarla, sottraendola al passare del tempo. E’ superiore alla poesia che rappresenta le parole che sono opera solo degli uomini, inoltre la pittura ha una maggiore forza comunicativa parla a tutti in modo immediato e intuitivo.
La prospettiva, l’anatomia, lo studio della luce e dei colori permettono al pittore di svelare la realtà della natura attraverso la creazione di una nuova realtà, l’opera d’arte.
Nell’Italia del Rinascimento si incontrano singoli artisti che in tutti i campi elaborano creazioni nuove nel loro genere e al tempo stesso emergono singolarmente anche come uomini, sono universali. Leonardo senza dubbio presenta una natura versatile tale che lo porta ad appropriarsi ad un tempo di tutti gli elementi della cultura del tempo per poi emergere come uomo universale, artifex polytecnes, fenomeno che appartiene solo all’Italia come afferma Jacob Burckhardt.
Leonardo ha lasciato poche tracce delle sue relazioni affettive, in particolare con le donne, ammesso che ne abbia intrattenute, a parte quella con Caterina, indicata come la madre naturale, eppure i dipinti che ci sono arrivati hanno come soggetto principale le donne.
Se è vero che la caduta del muro autoritario che separava le donne dalla cultura letteraria nel tardo Medioevo, ad esempio, era già cominciata sia pure con lentezza, il Rinascimento coincide con l’apertura graduale alle donne dei livelli più elevati di istruzione e con la caduta del divieto all’accesso delle donne all’arte e alla letteratura.
Si offre al talento femminile non più solo il campo religioso, ma anche il campo laico della creazione artistica. Permane l’emarginazione della maggioranza di esse ma emerge un’élite all’interno delle corti signorili e aristocratiche o borghese.
Si può dire che Leonardo abbia compreso questo processo che investe le donne delle corti italiane. I ritratti di Cecilia Gallerani, Ginevra Benci, Isabella d’Este, la Gioconda, scrutano e offrono una dimensione della psicologia femminile prima assente nelle cultura figurativa italiana.
Questo va inteso come un ulteriore contributo di Leonardo alla cultura occidentale e costituisce uno dei vertici della lettura psicologica della figura femminile di ogni tempo. Questo è sicuramente legato all’assorbimento delle spirito del suo tempo, sia attraverso l’osservazione sia mediante l’esperienza e infine lo studio, nei termini che ben conosciamo.
Con lui, la sintesi di arte e scienza, di poesia e tecnica, raggiunge il suo culmine, ma anche il suo ultimo rilevante esempio, prima delle grandi fratture dei secoli seguenti.
BIBLIOGRAFIA
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M.Cacciari, La mente inquieta. Piccola biblioteca Einaudi, Torino,2019
Da Il Venerdì di “Repubblica” del 8 febbraio 2019 “Firmato Da Vinci” di Antonella Barina
Dal Numero da collezione “Oggi” marzo 2019
Da “Il Venerdì di Repubblica” del 5 aprile 2019, «Com’era ebraico quel ‘500”» di Silvia Luperini