Carla Guidi ci fa riflettere sul micidiale cocktail di estetismo e edonismo nella nostra società
Marco Testi
Capita raramente un passaggio così rapido da durare più di sessant’anni in poco -si fa per dire- più di 500 pagine, come quello che ci offre Carla Guidi con Estetica anestetica. Ci porta letteralmente dalla natìa Toscana a Roma e virtualmente nel mondo della seconda metà del Novecento. La sua storia autobiografica si fonde con quella di una epoca che ci ha cullato e fatto ballare con le canzoni di Lennon-McCartney, scendere in piazza contro la guerra in Vietnam e piangere per le bombe nostrane che hanno fatto vittime innocenti e tenute aperte inquietanti pagine sulla nostra storia. Le speranze della nuova politica sovietica con il celebre discorso di Kruscev del febbraio 1956 che rivelava finalmente -molto lo si sapeva già, ma la politica dei blocchi paradossalmente tutelava il sinistro silenzio sui gulag- le orrende latebre dello stalinismo che avevano oscurato la vita di milioni di persone, molte delle quali scomparse nel nulla dei boschi siberiani (ed è recente l’acquisizione di fonti che testimoniano la vera e propria condanna alla fame decretata dal dittatore all’Ucraina), le contraddizioni del kennedismo tra tensione cubana e nuovo sguardo verso la pace mondiale -da cui non era esente il fascino personale del presidente ucciso a Dallas- sono attraversate dalla voce e dalla storia della protagonista che, da artista oltre che scrittrice, si trova a fare i conti con lo Spirito del tempo. Certo, i conti li si fanno dopo, quando lo Zeitgeist ha lasciato intendere qualche possibilità di interpretazione del senso complessivo di quegli anni, ma è proprio per questo che Estetica anestetica è un libro coraggioso, perché non è una mera elencazione di eventi, oggi storia contemporanea, ma una riflessione in tempi reali sul concetto ambiguo quanto si vuole, ma fondamentale per la civiltà umana, di cultura. Qui sta il motivo più interessante di questo libro: una protagonista di quegli -e questi- anni affronta il problema generale di quanto la cultura del tempo, comprese alcune avanguardie formaliste, sia stata una alternativa al pensiero dominante o se invece non abbia rappresentato un alibi alla società dei consumi, che anestetizza i possibili se e ma attraverso la proposizione del facile e del subito, culminata con la città ideale che non è, come si pensa abitualmente, quella progettata con intenti sicuramente ragguardevoli, ma sempre falliti di fronte al processo di decomposizione politico e civile della metropoli, bensì la città commerciale che abbiamo di fronte tutti i giorni: basta andare un sabato pomeriggio in uno dei centri che costellano le nostre realtà urbane per rendersene conto. Il ragionamento è il seguente: non sarà mica che la concentrazione sul dato estetico, formale, sulla fruizione pura e semplice, sia servita al sistema per chiudere tutti i varchi realmente significanti e creare il nostro attuale universo fatto di corpi bellissimi e da esporre, di mezzi usa e getta, tanto costano poco e che si ne frega se inquinano tanto non ci saremo?
Carla Guidi ha riaperto un discorso che sembrava sepolto sotto i colpi di maglio di una intellighentzija che ha fatto dei propri io sono più colto, io sono più oltranzista, io sono più tutto l’unico contenuto del discorso. Ed è con una certa tristezza che allora tornano alla mente gli avvisi ai naviganti di Benjamin nell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, o gli avvertimenti di Ruskin che in una sua opera volutamente -il sospetto si fa largo- ignorata, Fino agli ultimi, mette in guardia contro un processo di “civilizzazione” che si lascia dietro le macerie materiali e psichiche di intere masse sacrificate ai costi di quel processo.
La voce narrante di Estetica anestetica racconta le speranze reali che avrebbero avviato a loro volta le forme di dispiegamento di una economia più umana, sepolte tutte, una per una sotto il piombo di giustizieri piovuti dal nulla e al nulla tornati, da Nathuram Godse a Lee Oswald.
Qual è il ruolo a posteriori della cultura in questo processo di lenta involuzione consumistica, sembra chiedersi l’autrice? A leggere questo libro, e a riflettere sui beati anni dell’edonismo sfociati negli Ottanta ma provenienti da molto più lontano, viene da dare un giudizio negativo. Ma non su tutta la cultura, perché come avevano ben capito pure i marxisti più ortodossi le cosiddette sovrastrutture interagiscono con le strutture economico-sociali e talvolta le modificano. Se la nostalgia fosse un elemento costruttivo della psiche umana dovremmo averne per la stagione neorealista, quando il problema della forma in sé non aveva ancora preso la testa del convoglio epocale creando una marea di equivoci che ci ha portato alla cultura dell’immagine che possiamo tranquillamente goderci, si fa per dire, accedendo ai media in qualsiasi formato e in qualsiasi momento della giornata e della notte.
Cultura, amore, società, violenza, anche il sesso, facevano la narrazione in una globalità che allora sì significava la circolare compenetrazione delle forme nei contenuti e viceversa. La classe operaia aveva acquistato una voce non solo letteraria che si imponeva come immagine e non solo come mero contenuto, e la borghesia partecipava attivamente ad una ricostruzione non intellettualisticamente innalzata su forme più o meno da condannare o da assumere.
Carla Guidi ci riporta ad una nuova coscienza, che è quella pochissimo intellettuale e molto umana di una nuova-vecchia cultura che non si allontani lentamente dalla realtà della gente, ma avvicini il lettore riottoso di nuovo ad una cultura come costruzione e consenso mediato e talvolta critico, ma operativo e cosciente di essere una parte di un tutto che va organizzato. Le recenti statistiche che presentano un trend di italiani sempre meno lettori e ancor più schiavi di un’immagine sviante e narcisistica mette davvero paura. L’estetica che anestetizza prende le sue strade dopo aver divorato i suoi figli illudendoli di felicità inimmaginabili, come nei mostri di Goya che scaturiscono dal sonno della ragione.
Un libro, Estetica anestetica che dovrebbero leggere certamente coloro che hanno attraversato il mezzo secolo abbondante di cui abbiamo detto, ma anche coloro che non hanno conosciuto quegli idoli e quelle speranze, perché il disvelamento delle forme assolute ha la possibilità di fungere da vaccino contro la trappola di una forma celebrata come dea, dietro la quale, come nel cult -destinato nello spaventoso consumo spazio-temporale anch’esso ad una rapida senescenza semantica e generazionale- di Matrix, si nasconde la descensio ad inferos di un poeta che ha perso il senso della realtà.
Carla Guidi, ESTETICA ANESTETICA. Il corpo, l’estetica e l’immaginario nell’Italia del Boom economico e verso gli anni di Piombo. Robin, 2018.